UNIONE SARDA giovedì 17 Maggio 2007
Una scuola per salvare la cultura degli uomini blu – di Maria Paola Masala
“Les americaines sont ceux qui sont”, sono quello che sono. Il capo dei Tuareg del Mali sorride tra il divertito e il rassegnato, mentre le sue mani sottili tagliano l’aria con un gesto elegante. Poco più che sessantenne, una vita durissima alle spalle, Aboubacrine Mohamedin discende da una stirpe che ha fondato Timbuctù. Suo padre Mohamed El Moctar era il capo di una confederazione di tribù Tuareg, il leggendatrio “amenokal” di una regione – e di una città – che per molti americani è frutto della fantasia. I suoi modi gentili evocano una cultura millenaria, l’aspetto fragile racconta la fatica di vivere in una terra tra le più depauperate del pianeta. A Cagliari in Sardegna è giunto dal Mali per prendere contatti con l’Associazione AZALAI ( la carovana del sale)presieduta dalla sua grande amica Claudia Zuncheddu, medico specialista in malattie tropicali e profonda conoscitrice delle popolazioni nomadi del Sahara.“AZALAI” è riuscita con sostegno di tante persone generose ad avviare nel deserto del Mali un grande progetto: la costruzione di una scuola che accolga i bambini Tuareg, li ospiti mentre i genitori sono in giro per il deserto, li tenga accorati a una cultura in pericolo di estinzione.
Per il momento “AZALAI” ha messo in piedi nella cintura di Gundam, in aperto Sahara, tre nuclei scolastici sperimentali (riconosciuti dal governo del Mali): tende di pelle e semplici costruzioni di fango crudo, il nostro ladiri. Ospitano 150 alunni in gran parte bambine che il 5 Giugno concluderanno il primo anno di lezioni. Altri 250 sono in lista di attesa. Il progetto si basa soltanto sulle forze del progetto cagliaritano. Anche per questo Aboubacrine è qui. Per intrecciare un rapporto più stretto con gli amici sardi (domenica a Sinnai lo hanno ascoltato in tanti e Venerdì mattina alle 9,30 nell’aula consiliare del comune di Capoterra si terrà un convegno tra Donne Sarde e Donne Tuareg), per spiegare che la creazione della scuola ha un significato più ampio di quanto non si pensi. Non significa “soltanto” cercare di salvare la cultura Tuareg, significa tenere uomini e donne vicini al territorio dove le scuole operano.
I Tuareg oggi sono un popolo senza Stato. Con la decolonizzazione e i nuovi confini geografici, creati a tavolino dalla politica internazionale, il territorio del Sahara, è stato spartito fra i vari Stati che si affacciano nel deserto. E’ così che i Tuareg sono rimasti divisi e ingabbiati all’interno di questi spazi, impossibilitati a continuare i millenari spostamenti per le loro attività di scambio. ” Il popolo Tuareg”, spiega Claudia Zuncheddu, ” corre oggi il rischio di essere frantumato, allonatanato dalla sua storia e dalla sua identità più profonda, quella del Sahara”. Molti , attanagliati dalla miseria, sono scappati dal deserto maliano per cercare lidi soltanto all’apparenza piùà ospitali. Evitare che lascino il deserto, in cerca di facili guadagni, è il primo obiettivo dei capi.
Aboubacrine annuisce. Trascorre la sua vita dividendosi tra il deserto e Sevarè, nel Mali centrale. A Sevarè ha sede un’associazione internazionale, Terranuova, che ha creato con il governo del Mali un progetto a favore della promozione e dello sviluppo delle zone aride. ” Con questo progetto abbiamo sempre avuto la certezza dei finanziamenti dell’Unione Europea, con la scuola è diverso. E’ indispensabile che l’attività sia garantita almeno per tre anni, altrimenti ogni sforzo sarà inutile”. Tre milioni di anime nel Mali (molti di più nel Sahara) i mitici “uomini blu” così chiamati per l’uso dell’indaco come sostanza medicamentosa e cosmetica, vivono una condizione estrema di povertà. Tra le varie etnie del territorio, quella Tuareg è la più disastrata, perchè la più vicina alle zone aride. Di recente ha dovuto subire il flagello delle cavallette, e a nulla sono serviti gli aiuti internazionali. ” Sono in molti in Africa a sperare che il nostro popolo scompaia, falcidiato dalla disidratazione, dalle malattie, dalla perdita della nostra storia. Il progetto condotto con Terranuova aveva dato molta speranza ai Tuareg “, spiega Aboubacrine. Ma poi la guerra in Iraq ha peggiorato la situazione, dirottando in altri luoghi ( e in altre scelte ) i finanziamenti internazionali.
Le Organizzaioni non Governative hanno sofferto moltissimo per questi tagli. ” I Tuareg hanno la colpa di vivere su una crosta terrestre molto povera che copre un sottosuolo ricchissimo “, aggiunge Claudia Zuncheddu. Ecco perchè il loro destino non sta a cuore a nessuno. Chi può avere interesse a salvaguardare la loro cultura? Popolo di pastori nomadi, i Tuareg vivono di latte (molto) carne (pochissima), miglio, riso un po’ e raramente la farina di grano per qualche biscotto. Gli uomini sono tutti magri come Aboubacrine, le donne tutte bellissime come sua figlia Fatù. O come sua moglie Fatmatàscomparsa all’improvviso un anno fa, o come sua madre che morì giovanissima, quando il marito, il legendario “amenokal” della regione di Timbuctù, partì per un lungo esilio. Rispettoso della libertà della sua donna, le disse che la scioglieva dal voto di fedeltà. Lei accettò e moriì di dolore pochi mesi piùà tardi.
I Tuareg sono una popolazione particolarmente emancipata. Non praticano la poligamia se non in casi rarissimi, non sanno cosa significhi ripudiare la moglie, conoscono il divorzio, riconoscono alla donna un potere reale, e la loro religione è un islamico animistico fatto di rispetto. Un Tuareg ha bisogno del suo accampamento – dice Aboubacrine – e spiega che lui appena può torna nel deserto del Sahara dove la sua immensa famiglia è sparsa. Torna sotto le grandi tende piene di colore, di vita e di morte. Dove 40 bambini su 100 non arrivano ai 5 anni. Dove non esistono farmaci che debellino certe malattie, anche se la medicina tradizionale è molto efficace ( e anche in questo caso c’è chi in Occidente è pronto a carpirne i segreti). Nel frattempo un antibiotico che qui a Cagliari costa 15 euro, laggiù costa una vita.
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