Sulla ‘Vertenza ALCOA’ in Consiglio Regionale
Consiglio Regione Autonoma della Sardegna
Seduta 28/08/2012
Mozione firmata da tutti i capigruppo del Consiglio: “sul necessario immediato e risolutivo intervento del Governo italiano a difesa dell’intero apparato industriale e produttivo sardo, a partire dal mantenimento e sviluppo delle attività di filiera dell’alluminio nel territorio del Sulcis-Iglesiente, provvedendo nel caso anche ad impedire con l’adozione di strumenti straordinari ogni eventuale azione finalizzata alla fermata degli impianti ALCOA”.
Tracce del mio intervento
Sono d’accordo con chi ritiene l’inutilità di questo ennesimo dibattito. Dobbiamo essere pragmatici e trovare soluzioni concrete all’emergenza, soluzioni che vadano oltre la proroga della chiusura ormai certa dell’ALCOA.
La delocalizzazione di ALCOA è in atto e non da oggi, le sue nuove industrie sono già state costruite, ad esempio nell’Islanda orientale (Fjardaal). Il nuovo progetto è già decollato e vanta di un porto e di una decina di dighe, di tre bacini idrici e di una centrale elettrica da circa 700 MW che viene alimentata dalla diga Karahnjukar, alta 190 metri e che creerà un bacino idrico di 57 km/q. Insomma si tratta di un impero sicuramente realizzato, così come è avvenuto in Sardegna con sgravi fiscali e finanziamenti pubblici e bancari – “a babbu mortu”.
Tutto in perfetta sintonia con la delocalizzazione mondiale che porta le imprese multinazionali solamente dove si garantiscono i massimi profitti a “zero controlli” L’ALCOA con l’intero polo metallurgico del Sulcis è da considerarsi una disavventura per noi sardi ormai chiusa come possibilità di sviluppo occupazionale continuativo. A questo proposito vorrei chiedere al Presidente della Giunta e agli on.li Assessori all’Industria e all’Ambiente, se i conti fra il “dare e avere” fra RAS e ALCOA sono stati definiti e in favore di chi? Nel corso del dibattito gradirei avere una risposta. Sicuramente il Dare e Avere è a sfavore dell’occupazione del Sulcis Iglesiente e dell’impossibilità che l’”industria dell’ambiente” (a cui noi dobbiamo ambire), possa essere oggi una concreta e immediata risorsa occupazionale per le popolazioni residenti.
E’ da tempo che in quest’Aula firmiamo o.d.g unitari per sollecitare una seria e concreta politica di disinquinamento, ripristino e rivitalizzazione ambientale ed economica, quindi occupazionale, di parti del nostro territorio sottoposti dal secolo scorso alla rapina e all’inquinamento delle servitù industriali e militari che sicuramente hanno creato ricchezze incalcolabili per multinazionali e per lo stesso Stato italiano, dando in cambio salari di sussistenza ad operai e piccole imprese locali.
Ancora una volta, il dramma degli operai dell’ALCOA torna al centro del dibattito in Consiglio regionale, il tempo passa, i problemi occupazionali crescono, la povertà avanza, le famiglie sempre meno possono far fronte ai mutui da pagare. La messa all’asta della prima casa, per le famiglie o degli strumenti di lavoro delle imprese, qui in Sardegna, non è più una minaccia ma una drammatica realtà.
Ma le risposte della classe Politica, al fallimento di questo modello di sviluppo industriale di importazione, di cui ALCOA, ne è una parte, non arrivano in quanto la stessa classe politica che in questi anni ha gestito i due Piani di Rinascita plurimiliardari è collusa e incapace culturalmente di progettare un nuovo modello di rilancio delle nostre economie che non sia importato e che sia in sintonia con le vocazioni del territorio, dell’ambiente e delle economie preesistenti. Mi danno purtroppo ragione, le stesse affermazioni del presidente della Provincia del Sulcis, ing. Tore Cherchi quando sostiene che “ci sono state sfacciate lottizzazioni politico-clientelari”.
Alla classe politica sarda continua a mancare l’autonomia di scelta politica dai diktat imposti dallo Stato italiano. A questa maggioranza di CD manca un programma e una gestione concreta e adeguata dei problemi occupazionali dei nostri territori, della sopravvivenza delle nostre famiglie e dei supporti finanziari alle nostre imprese. Per l’ennesima volta i sardi pagano a costi alti l’inadeguatezza di una rappresentanza politica incapace di difendere a “denti stretti” i nostri diritti e a fronteggiare lo Stato italiano che giorno dopo giorno innalza il livello di scontro con la RAS.
E’ ora che questa tradizione venga interrotta.
Non basta una lettera scritta in sardo a Monti, per poi permettergli di tagliarci la lingua; non bastano le promesse telefoniche agli amici del Governo italiano, o quelle degli amici del Governo italiano a Putin per risolvere i nostri problemi…
La Sardegna, fuori da ogni demagogia, necessita di una rappresentanza politica forte e determinata, in grado di contrattare a pari dignità istituzionale con lo Stato Italiano, dando con ciò risposte dalla parte dei sardi alla nostra emergenza occupazionale e ambientale. Ma purtroppo la nostra rappresentanza é debole e spesso assente. Gli interessi e le emergenze dei sardi non possono più essere oggetto di speculazioni elettorali da parte di chi che sia.
Alla RAS manca a tutt’oggi un “Progetto-Piano” di rilancio economico alternativo all’attuale modello industriale; manca perché culturalmente la classe politica sarda e anche una parte importante dell’intellighenzia culturale e di chi crea opinione, continua ad essere miope, perché priva di lungimiranza e strabica nel dare una risposta equa alla richiesta di lavoro che garantisca benessere e salute alle popolazioni. Purtroppo i dati del fallimento dell’esperienza industriale importata e imposta in Sardegna da fine anni 50, analizzando tutti i parametri e in particolar modo il rapporto fra “costo e benefici” rispetto alla salute dell’ambiente e delle popolazioni, confermano una situazione fallimentare anche dal punto di vista del numero degli occupati nell’industria, in rapporto ai finanziamenti profusi.
Il fallimento dell’industrializzazione della nostra isola è inequivocabile se prendiamo come riferimento il “rapporto fra numeri di occupati e costo di ogni posto di lavoro”, il “rapporto fra costo-beneficio dell’investimento e la reale ricaduta sull’economia del territorio”, senza parlare della subalternità e distruzione delle economie tradizionali di quei territori in riferimento ai benefici di cui esse avrebbero potuto usufruire se fossero state sostenute come lo è stata la c.d. Industria di Stato del Petrolchimico e della Chimica e i privati monopolisti della raffinazione del Petrolio (vedi Saras).
I dati occupazionali, riportati nei giorni scorsi dalla Cisl, segnano un “profondo rosso nell’industria” e un “rosso nel settore agricolo”.
Questo è un segnale tangibile del fallimento di questo modello di sviluppo di importazione.
Oggi manca un progetto culturale complessivo (oltre che politico), che a partire dalle risorse e dalle tradizioni economiche e culturali dei territori rompa in modo definitivo, o comunque promuova anche provvisoriamente, un modello di “rottura e di sganciamento” dal modello di sviluppo che ci è stato imposto quasi militarmente a fine anni 50 con i due Piani di Rinascita.
La classe politica deve trovare soluzioni e non all’interno di un sistema che ci ha già portato al fallimento; deve assumersi la responsabilità di superare e non perpetuare un “modello di sviluppo fallimentare” che ha fatto si che la Sardegna sia in testa fra le regioni d’Italia per il disastro ambientale associato ad una incidenza inquietante di patologie ad esso connesse, anche se a tutt’oggi è stato negato uno studio specifico teso a confermare la correlazione, contrariamente a quanto è stato fatto per Taranto e per il “Caso IlVA”.
Dalle lotte dei sardi non solo di ALCOA, ma di tutti i settori industriali dalla Carbosulcis, a Porto Torres, a Portovesme, ai lavoratori del Parco geominerari (purtroppo irresponsabilmente tenuto fermo) ai Pastori, Agricoltori, ai Pescatori, alle Partite IVA, al settore del commercio e delle imprese etc etc. emerge che il sacrificio dei nostri territori e del nostro ambiente, non è servito neppure a garantire l’occupazione nelle aree più sfruttate del territorio.
Come classe politica oggi dobbiamo dire basta con il ricatto del lavoro, con un ricatto barattato troppo spesso con la salute.
La RAS deve trovare il coraggio per imporre allo Stato italiano un cambiamento di rotta, per far si che il diritto all’occupazione sia tutelato, e che il diritto di tutti i sardi a un “lavoro pulito che non uccide” sia una realtà.
In concreto non possiamo permetterci la perdita di un solo posto di lavoro. Questo è possibile se riqualifichiamo la filiera dell’alluminio a partire dal recupero e riciclo dell’alluminio esistente, risparmiando risorse energetiche e annullando l’inquinamento da fanghi rossi.
SardignaLibera sostiene:
“Dobbiamo ripartire dalle bonifiche, che i responsabili dell’inquinamento industriale e militare devono pagare di tasca propria. La RAS deve controllare severamente che ciò avvenga. Dobbiamo riconvertire il modello di sviluppo industriale importato e imposto, rivitalizzare i territori e promuovere cantieri tesi a creare nuove economie in armonia con la vocazione ambientale e a garantire occupazione sicura e durevole.
Il futuro occupazionale certo e immediato, per i lavoratori dell’industria inquinante e in fase di delocalizzazione è nelle bonifiche”.
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