S’indipendentismu est cosa serie e no tocada a brullai
Lettera inviata al direttore de L’Unione Sarda il 10/08/09
Egregio direttore A proposito degli editoriali apparsi su L’Unione Sarda di queste domeniche inerenti il dibattito sulla crisi economica e politica italiana, e suoi drammatici riflessi in Sardegna, Le invio con preghiera di pubblicazione, alcune mie considerazioni. In queste ultime settimane, dopo il cosiddetto “spauracchio” del “Partito del Sud”, operazione politica squisitamente strumentale ed elettorale finalizzata a riassetti all’interno di gruppi di potere nella compagine governativa di Centro Destra, i fondi destinati dal governo italiano alla Regione Sicilia per infrastrutture sono ben 5 miliardi, più 4 in pronta cassa, contro i 18 milioni per la Sardegna, da spalmare nel tempo.Di fronte a questi dati e allo scippo di fondi FAS destinati al sud e alla Sardegna, le proteste di parlamentari sardi di Centro Destra, risultano sterili, di circostanza e demagogiche, tese a rassicurare noi sardi sostenendo che vigileranno sull’attribuzione dei fondi della Finanziaria della prossima primavera.Intanto autorevoli analisti sostengono che nelle migliori delle ipotesi la crescita del PIL in Italia nel 2010 sarà dello 0,5% certificando la continuazione di una crisi economica che in Sardegna ha portato oltre il 19,4% della popolazione sulla soglia della povertà. A fronte delle richieste di erogazione del credito alle imprese; l’80% è concesso alle grandi imprese (10% dei richiedenti) e il restante 20% è erogato a favore delle piccole e medie imprese (90% del totale) che storicamente in Sardegna costituiscono l’asse portante dell’economia. Sono imprese, nonostante la professionalità e la laboriosità, sottocapitalizzate e non in grado di raggiungere gli standard richiesti per l’accesso al credito. Le rare volte che riescono ad usufruire del credito, pagano da 2 a 4 punti in più rispetto a imprese equivalenti site in altre aree d’Italia.C’è da chiedersi se è più rischioso erogare il credito in Sardegna, dove si registra la maggior raccolta del risparmio. Questo fenomeno, secondo Draghi (amministratore della Banca d’Italia), favorisce l’infiltrazione mafiosa nelle imprese in difficoltà agevolando il controllo criminale dell’economia reale in Sardegna come in tutta l’Italia.Nei processi attualmente in corso a carico di queste organizzazioni criminali, è emerso in modo evidente il controllo che queste “associazioni a delinquere” continuano a detenere sulle centrali di betonaggio e sul commercio del calcestruzzi, indispensabili per le cosiddette grandi opere e infrastrutture pubbliche sia al Sud che al Nord d’Italia. In tal modo controllano ampie fasce dell’economia, inquinandola con la complicità della classe politica e talvolta con il supporto di connivenze statuarie.Su questo fronte, nel Nord-Est della Sardegna si sono registrati inquietanti campanelli di allarme.La Regione Sardegna e il presidente Cappellacci, a parte il doveroso e non sufficiente sostegno ai consorzi fidi, che cosa mette in campo per sostenere le piccole e medie imprese e per evitare che questo progetto criminale non si radichi nell’isola e fallisca? O forse non è suo compito, sviluppare il benessere e l’economia della propria terra e in questo caso agevolare l’accesso al credito delle piccole imprese artigianali, agricole, quelle legate alla pastorizia e alle piccole professioni?La crisi esiste, è globale e in Sardegna è talmente grave da minare l’economia e la stessa possibilità di sopravvivenza di centinaia di migliaia di famiglie, generando in tal modo esclusioni sociali, tensioni ed economie illecite.Le commissioni di indagine parlamentare sulla Sardegna che si sono succedute dalla fine 800 a tutto il 900, evidenziavano come criticità alla base del sottosviluppo nell’isola, la gran parte dei problemi che ancora oggi restano da affrontare e risolvere: disagio sociale, occupazione, accesso alla cultura, credito, trasporti e infrastrutture pubbliche.I 60 anni di Autonomia Regionale, che recentemente abbiamo commemorato in Consiglio, non sono serviti ad affrontare e risolvere concretamente queste “emergenze”, anzi, le “soluzioni adottate” sono state peggiorative e hanno concorso a distruggere le economie locali tradizionali, importando modelli coloniali esterni (vedi la Petrolchimica) pagati con i soldi pubblici di due Piani di Rinascita e non solo.Queste operazioni di espropriazione delle risorse, tipiche delle economie coloniali, hanno creato grandi ricchezze per “pochi mediatori”. Tale misfatto e quest’inganno è stato possibile grazie alla complicità di tutti i partiti politici, seppur con tempi, modalità e pesi di responsabilità differenti. Questi processi economici hanno creato forme di sudditanza culturale per cui il “bello” e il “buono” era la “modernizzazione” e tornare a “su connottu”, alla propria identità e al proprio essere significava “opporsi al progresso”.Certo è che i “sardi liberi” e consapevoli sanno di poter prendere in mano il proprio destino, ribaltare l’attuale “storia di sudditanza” costruendo un processo di sovranità, di autodeterminazione e d’indipendenza che finalmente li riporti protagonisti autonomi negli scenari mondiali, europei e mediterranei. Questa è la grande sfida storica che noi comunemente chiamiamo “processo di indipendenza”.Di fronte al cosiddetto “pericolo” che i sardi si risveglino dal torpore, qualcuno per salvare le proprie “rendite di posizione” e con ciò dando supporto al dominio coloniale in corso, propone, imitando Tomasi da Lampedusa, di “cambiare tutto per non cambiare niente”, sproloquiando e sviando il senso reale della nostra ambita indipendenza.Non si è mai visto che un popolo ottenesse i suoi diritti storici: la sua sovranità, l’indipendenza e la gestione solidale delle proprie ricchezze per “gentile concessione” dell’oppressore del momento, o attraverso fenomeni di collaborazionismo e divenendo “ascari” dei “proconsoli locali”.I movimenti di liberazione e di autodeterminazione moderni, si sono sviluppati sulla consapevolezza che l’ideologia dell’indipendenza è figlia del grande pensiero progressista, solidale, laico e libertario mondiale.Per cui non si può dissertare sull’indipendenza, così come è moda in questo periodose poi si governa all’interno delle istituzioni con quella parte politica che oggi è maggiormente responsabile del disastro dell’economia sarda. Non si può in Consiglio Regionale essere a favore della riforma scolastica Gelmini, che cancella il diritto allo studio per i giovani sardi, creando disoccupazione per migliaia di insegnati e negando con i tagli l’accesso alla scuola per i giovani portatori di handicap e poi dichiararsi “indipendentisti” votando con il Centro Destra tutti questi provvedimenti antipopolari.L’ambiente, il paesaggio e l’architettura dei nostri centri storici, piccoli e grandi, sono frutto della nostra storia e come tali sono parte integrante della nostra identità, al pari della lingua.Non si può essere a favore delle privatizzazioni delle coste e delle spiagge, dello smantellamento della sanità pubblica, non si possono sostenere quelle forze politiche xenofobe sull’integrazione e l’emigrazione, promuovono le ronde e predicano il ritorno alle gabbie salariali, probabilmente impongono le centrali nucleari in Sardegna e lo stoccaggio delle scorie radioattive, così come il potenziamento dei poligoni militari… ma dichiararsi paradossalmente in Consiglio Regionale …bontà loro “indipendentisti”.Questo “pseudo-indipendentismo”, fonte di privilegi e opportunismi per alcuni, che di fatto sostenendo questo governo regionale: figlio legittimo del governo italiano di Berlusconi, può solo costruire progetti di ulteriore sudditanza e di collaborazionismo per il popolo sardo. Aderendo culturalmente a venti nazionalisti e razzisti che soffiano in Italia e in Europa, questi esponenti politici di centro destra, sono in antitesi con il progetto indipendentista, perché sono fuori dalla tradizione solidale, sociale e culturale del popolo sardo. L’Indipendentismo è cosa seria. Claudia ZunchedduConsigliera Regionale Rossomori
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