«Scelte criminali per l’Isola: lo spopolamento è funzionale»
Pesante denuncia di Claudia Zuncheddu: dalle scorie nucleari ai siti inquinati.
«Scelte criminali per l’Isola: lo spopolamento è funzionale».
La casa di Claudia Zuncheddu in Castello è un museo palpitante di cultura tuareg, i nomadi del Sahara signori del suo spirito da tempi lontani. La dottoressa è reduce da un’assemblea di “Sa Luxi”, comitato pro registro tumori. Nelle province di Cagliari e Oristano questa guida medica essenziale non esiste, a Sassari e Nuoro sì. Quando era in Consiglio regionale lei aveva presentato una proposta a costo zero. Invano. I dati-base esistono da dieci anni, inutilizzabili. Strano, ma vero.
Nella pratica terapeutica cos’è un registro tumori?
«Uno strumento indispensabile. Ci fornisce tutti i dati sull’altissima incidenza delle patologie tumorali».
Quali informazioni essenziali darebbe a voi operatori?
«Ci direbbe nei dettagli quante e dove sono le persone affette da queste patologie, di quali tumori si tratta, dove sono ricoverate, quali terapie hanno seguito e soprattutto quali sono le cause».
Ma non saranno proprio le cause il nodo della questione?
«Dici? Il registro tumori è uno strumento scomodo, non vogliono darcelo».
Scomodo?
«Con quei dati si può far luce sulle paternità delle malattie. Non solo dei tumori, delle patologie croniche progressive e dei danni cardio-vasco-respiratori. Allergie? Sarroch e dintorni. Ma c’è di più».
Che cosa?
«Lo Stato in Sardegna ha individuato due Sin, Siti di interesse nazionale per le bonifiche. Zone molto vaste. La realtà è terribile: oltre un terzo dei sardi vive in aree altamente inquinate. Lo Stato lo sa bene, tanto che ha fatto finta di intervenire».
Quali, dove?
«A Nord-ovest, area di Porto Torres, un sito enorme: petrolchimico, annessi, connessi e sconnessi. A Sud-ovest l’area che parte da Sarroch e patisce la Saras, ma non solo. C’è tutto il polo industriale, con Macchiareddu. E Teulada. E Capo Frasca. Arriviamo alle porte dell’Oristanese».
Che succede, in quelle aree?
«L’incidenza delle malattie è tremenda. La politica non può più far finta di nulla».
Altrimenti?
«Si assuma la responsabilità e dica che i sardi debbono mettere la testa sotto la sabbia e non fare domande sulle cause di morte».
Finora si è nascosto molto?
«C’è la tendenza a tacere su Cagliari, ad esempio. La città non respira aria sana. Per la diossina. Non viene dalla Saras ma da Macchiareddu. Saras ci fa altri regali, però la diossina è dell’inceneritore. A ciascuno il suo. Stesso discorso per Macomer».
Macomer?
«Sì. Su quella zona si era pronunciata l’Asl in tempi non sospetti. E i medici attenti. Da consigliere comunale un mio collega aveva avvisato la gente sul rischio diossina: ho tutti i suoi interventi pubblici. Stranamente, oggi non la pensa più così».
Di questo passo, come sarà fra vent’anni?
«Saremo molto pochi. Siamo già ora un quarto di Milano o, se preferisci, un sobborgo di Parigi».
A chi serve una Sardegna spopolata?
«A chi vuole farci fuori: è programmato. Le multinazionali non esitano a compiere nefandezze di ogni genere. Non faticano a entrare, le forze politiche sono inadeguate. L’ultimo tentativo riguarda lo stoccaggio delle scorie nucleari».
In nome di che cosa si fa tutto questo?
«La Sardegna è un’isola avviata allo spopolamento. Ci negano le scuole, forse hanno ragione Renzi e Pigliaru: la scuola non serve, fra un po’ non ci saremo. Alcune scelte sono criminali».
Tipo?
«Fingere di chiudere Teulada per riconvertire Quirra. Di quale tipo di riconversione parliamo?».
Cosa vuol dire, in concreto, riconversione?
«Scavare fino a una profondità di almeno due metri, eliminando il materiale bellico. Poi lavare la terra estratta e conservarla in contenitori di acciaio inox. Immaginiamo una bonifica di quell’area».
Quali problemi porrebbe?
«Dove mettiamo la terra? I costi sarebbero altissimi. Gli americani a Portorico non ci sono riusciti. Ma i nostri politici parlano senza cognizione di causa e pensano solo alla superficie in terra o ai fondali in mare».
A che punto siamo?
«Per Teulada la Stato l’ha già detto: non è più bonificabile. Si tratta di una superficie enorme e costerebbe troppo. Cosa sarebbero, invece, i quattordicimila ettari di Quirra da destinare, ad esempio, alla protezione civile nel bacino del Mediterraneo?».
Sentiamo.
«Molte risorse per noi, occupazione garantita nel tempo lungo».
In parole povere, pace e non guerra?
«Certo, la Sardegna è un’isola di pace. Non siamo mai andati a colonizzare nessuno, questa vergogna non figura nella nostra storia. Il mio lasciapassare in Africa è proprio la Sardegna, a tutti i livelli internazionali».
Come mai?
«Non mi associano all’Italia, come se la nostra Isola fosse soggetto politico autonomo e non ne facesse parte. Noi dobbiamo esportare la pace, ma lo Stato non ne vuole sapere. Oggi oltre il 62 per cento della militarizzazione statale si trova in Sardegna».
Cicitu Màsala diceva: per l’Italia noi sardi siamo carne da macello in tempo di guerra e carne da galera in tempo di pace.
«Cicitu aveva ragione. Riandando indietro nel tempo, ricordo che il 25 aprile, quando ero ragazza, il corteo era nostro: di tutti, non solo del Pci come poi è stato. Continuo ad andarci, mi riguarda come antifascista. Però mi domando: ma la Liberazione in Sardegna c’è mai stata? Dal 1960 in poi no, sicuramente. Continuiamo a morire di guerra, in maniera subdola e solo apparentemente incruenta».
Viviamo in colonia?
«Viviamo in colonia».
Un isolano famoso scriverebbe ancora, stavolta per la Sardegna: «E come potevamo noi cantare/con il piede straniero sopra il cuore?».
Paolo Pillonca
Fonte: L’Unione Sarda – 22/06/2015
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