S’Arregordu de Aldo Scardella
Unu “sequestru de persona” accabau cun sa “cundenna a morti” bofia de s’ Istadu Italianu
Aldo Scardella – “il dramma di un innocente”
Romanzo Di Vittorio Melis
Quando mi è stato proposto di presentare questo libro mi sono posta il problema della complessità e delle problematiche nel trattare un “omicidio di Stato”: la storia di Aldo Scardella ormai divenuta un simbolo di negazione di diritti e una parte della storia della nostra collettività cagliaritana.
Vittorio Melis, l’autore del romanzo, compie un “viaggio di ricostruzione”meticolosa e fedele dei fatti, che coinvolsero il giovane cagliaritano, insieme ad un personaggio l’anziano zio Nico: “fonte di conoscenza umana e giudiziaria” di quei fatti. La figura di zio Nico, così determinante, si dissolve nel nulla una volta compiuta l’opera letteraria.
Zio Nico, non è solo saggezza, pragmatismo e verità che guida lo scrittore nel ricostruire il dramma infinito di Aldo, ma è anche la coscienza critica della nostra gente nel giudicare uno Stato feroce e senza scrupoli che esercita un’”illegalità impunita” sui deboli.
Giusto ieri primo luglio, ad un convegno sulla giustizia si ricordava una frase del grande statista socialista, Pietro Nenni:
“Lo Stato si manifesta forte con i deboli e debole con i forti”
Affermazione ancora oggi, purtroppo, di grande attualità.
Lo Stato per essere credibile e autorevole deve essere equo. La Legge dev’essere uguale per tutti. Ma la carcerazione e la morte di Aldo Scardella è la dimostrazione lampante che lo Stato non è ne credibile ne autorevole.
Il romanzo “Il dramma di un innocente” raccontato da Vittorio Melis è la dolorosa storia di un giovane intelligente, colto e attento che sognava un mondo migliore e più giusto.
Lungimirante, Aldo era disilluso della cosiddetta “politica”, per cui iniziò la sua “rivoluzione” impegnandosi sul fronte sociale e della solidarietà.
Aldo, come tanti giovani di quella generazione, frequentava le piazze. Lo ricordiamo fra i giovani che frequentavano Piazza Giovanni XXIII: giovani sognatori, specchio di quella realtà e di quel dibattito fra progressisti, anarchici, autonomi, comunisti e indiani metropolitani. Erano giovani liberi che si davano appuntamento in quello spazio della città. In una città, Cagliari, priva di spazi di culturali di aggregazione e luoghi di dibattito politico aperti a tutti. Questi ragazzi discutevano, si confrontavano e sognavano una società diversa.
Erano quegli anni segnati dall’entrata in vigore delle Leggi Speciali di polizia,dove i cosiddetti “diversi” erano soggetti ogni tanto a “retate” della polizia. Così come era “normale” che di ciascuno, gli organi preposti all’ordine e alla sicurezza pubblica, conoscessero tutto, la famiglia, quindi il ceto di appartenenza, il quartiere e il numero civico di residenza… la loro“vulnerabilità sociale”.
Essendo anch’io figlia di quegli anni, mi son fatta l’idea che per i “servitori dello Stato” dopo il delitto di Via dei Donoratico (la presunta rapina al Bevi Market), non fosse difficile pensare che l’autore del delitto potesse essere un giovane che aveva il solo torto di vivere in quel quartiere, di continuare ad inseguire il sogno di una società migliore ed equa per tutti.
Aldo, giovane studente universitario, che lavorava per studiare, era un simbolo di un riscatto civile e culturale, in un “quartiere un po’ popolare e un po’ piccolo borghese” dove la sofferenza, il disagio sociale e il nuovo “male del vivere” per molti giovani, legato alla droga iniziava a farsi sentire con la sua pesantezza. Dopo la morte del padre, per le condizioni precarie della famiglia si manteneva agli studi facendo piccoli ma duri lavori, tuttavia i forti sentimenti di solidarietà per i più fragili lo portavano inevitabilmente a frequentare e a soccorrere giovani più “deboli e diseredati” di lui.
“Il Dramma di un innocente”
La fedele e meticolosa ricostruzione dei fatti, riccamente documentatadall’autore anche sia dagli atti giudiziari che dai verbali di polizia, svela l’innocenza del giovane, la sua estraneità al fatto delittuoso e punta il dito contro lo Stato che “illegalmente” sequestra e incarcera, in regime di totale isolamento, quel giovane reso vulnerabile dalla sua estrazione sociale e dalle sue frequentazioni politiche, trasformandolo in perfetta “vittima designata”.
La funzione del “servitore dello Stato”, secondo i dettami costituzionali, è innanzitutto quella di “servitore e garante” del cittadino. Ma per Aldo Scardella, figlio di una famiglia povera e di “buoni principi di educazione solidale”, le cose non sono andate così.
L’arroganza dei poliziotti entrati in casa di Aldo, il tintinnio delle manette sul suo viso, il sorriso beffardo di un agente, il suo sequestro ingiustificato, l’isolamento forzato e totale, ovvero le chiavi della cella buttate in mare, le sue inutili preghiere per essere ascoltato dai magistrati, il rifiuto del magistrato preposto a interrogarlo la dottoressa Pugliese, la paura per la sua vita minacciata in carcere, le intimidazioni ai fratelli nel corso di interrogatori, l’umiliazione del fratello (sottufficiale di Guardia di Finanza) delegittimato del suo ruolo e sottoposto lui stesso a un controllo con l’uso dei cani da parte di altri suoi colleghi, “servitori dello Stato”.
Aldo Scardella è vittima di un sistema politico e sociale, che origina nel fascismo e che non viene rinnegato dalla Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza, che vede nel “diverso”, nel “sognatore”, in colui che non è “supino e prono” alle cosiddette istituzioni, il pericolo per lo Stato, ignorando che esso stesso ha origine nei “patti” stipulati fra i cittadini che sono il centro, il fine e lo scopo che giustifica l’esistenza dello Stato stesso. Come può uno Stato democratico punire un cittadino probo solo perché pensa? Andrebbe contro la sua stessa natura.
Secondo queste logiche, a noi estranee, Aldo è il “coperchio” ideale per chiudere un caso di delinquenza, un regolamento di conti che nasconde un verminaio cagliaritano che oggi lentamente l’opinione pubblica sta ricostruendo in maniera precisa.
La vita di Aldo “non costava nulla” e con essa si pagava un “inquietante silenzio” per chiudere celermente un delitto.
Aldo, vittima dello “Stato di diritto” sancito dalla Costituzione, oltre che dai Diritti Internazionali dell’Uomo, il 2 luglio 86 alle 15,05 circa, dopo 185 giorni di segregazione assoluta muore tragicamente con un “misterioso suicidio”.
Il 900 italiano è pieno di misteriosi suicidi di cittadini arrestati. Ancora oggi nelle carceri continuano i “suicidi” di giovani, di “diversi” siano essi cittadini italiani o extracomunitari, comunque “deboli”: gli esclusi della nuova società globalizzata.
Nel rispetto del senso delle parole, Aldo Scardella è la storia di un “sequestro di persona” esitato con la “condanna a morte” decretata dallo Stato italiano.
Ancora oggi la nostra gente, che ha sempre subito l’ingenerosità dello “Stato patrigno”, dopo il riconoscimento della sua innocenza, attende la verità sulla sua morte “misteriosa”.
La madre di Aldo, i fratelli, gli amici e tutti i cittadini di Cagliari, attendono dallo Stato la giustizia sui fatti e le sue scuse.
Nonostante tutto, comunque non si è riusciti a seppellire la sua memoria e i tristi fatti che lo hanno “suicidato”. Aldo, anche oggi è ancora vivo in questa assemblea fortemente partecipata.
E’ vivo nei cuori della gente, la sua vicenda è chiara nella mente di tutti.
Il libro è una testimonianza forte, schiacciante e imprescindibile.
Da tutto ciò si riparte per sapere la Verità.
Claudia Zuncheddu
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