Parità di Genere: Rivolta per il voto negato alle Donne
L’Unione Sarda
22/06/2013
La Nuova Sardegna
22/06/2013
di Alfredo Franchini
I cecchini bocciano il voto per le donne
Il Pd: «La legge è incostituzionale e sarà impugnata». Martedì il voto finale, l’opposizione potrebbe abbandonare l’aula
CAGLIARI. C’è aria di rivolta contro la legge elettorale che il Consiglio regionale approverà martedì prossimo. Il giorno dopo il golpe, con la bocciatura della doppia preferenza di genere dalla nuova legge elettorale, la sindrome della sconfitta del buon senso si è impossessata di tutti i partiti. Potrà cambiare qualcosa martedì quando l’assemblea sarà chiamata al voto finale? Il pessimismo domina ma ieri, nel Centrosinistra, è stata avanzata l’ipotesi dell’abbandono dell’aula da parte dell’opposizione e la presentazione da parte di diciassette consiglieri regionali della richiesta di referendum, così come avvenne per la legge Statutaria.
«Prenderemo tutte le iniziative più opportune per impedire che i sardi vadano al voto con questa legge», assicura il segretario del Pd, Silvio Lai. «Una legge che non ha equilibrio e che può essere impugnata dal governo perché anticostituzionale. Se ci fosse il referendum saremmo in prima fila a sostenerlo». La battaglia in aula ha lasciato veleni nel Centrodestra. A cominciare dal probabile scioglimento del gruppo guidato da Mario Diana da cui è partita la richiesta del voto segreto, suscitando l’ira di Efisio Arbau, deciso ad andare via per protesta. «Sono certo che il gruppo Sardegna domani non si scioglierà perché va via Arbau», dice Silvio Lai, «ma perché prima lo farà la presidente del Consiglio, Lombardo, data la scelta del suo capogruppo». Era stato Paolo Maninchedda a sollevare la questione in aula: «Ci prendiamo l’impegno di non chiedere il voto segreto sulla doppia preferenza di genere? Non voglio bisticciare con chi chiede il voto segreto, perché bisticcerò». Previsione che da lì a qualche minuto si sarebbe avverata. E tra Maninchedda e Mario Diana la tensione è esplosa davvero. Il capogruppo di Sardegna domani ha anche riferito di aver invitato Maninchedda a partecipare ai lavori della commissione da cui si era dimesso da presidente ricevendo in cambio la richiesta di avere delle scuse. «Gli ho detto», ha spiegato Maninchedda, «non vado in commissione laddove il risultato non verrà rispettato dall’aula. E in questo senso, rispetto a quello che è stato fatto prima, merito anche delle scuse». Ora che il pasticcio è fatto si ripropone la questione dell’opportunità del voto segreto: «La norma deve essere rivista», afferma Mario Bruno (Pd), «non è tollerabile sostenere pubblicamente una posizione e nel segreto dell’urna votare in modo difforme». Bruno ha chiesto alla presidente Lombardo, di convocare la giunta per il regolamento. «Rivolgo un appello a tutti i consiglieri affinchè il ricorso al voto segreto venga regolamentato in maniera più rigida». Tre deputate del Pd, Caterina Pes, Romina Mura e Giovanna Sanna, spiegano: «La doppia preferenza è stata spazzata via e insieme anni di battaglie per la parità dei diritti, nel nome della costruzione di un mondo più equo. Azzerata senza che ci sia un motivo valido se non quello di far tornare la Sardegna indietro anni luce a quando le spartizioni di potere si dovevano fare tra maschi». Pes, Mura e Sanna ritengono che sia stato fatto un «cattivo servizio al concetto di autonomia, a quell’indipendenza di cui tanto siamo orgogliosi». A giudizio delle tre parlamentari la Sardegna ha un’ultima chanse: «Votare l’emendamento presentato dal Pd». Quell’emendamento, in realtà, garantirebbe alle donne venti seggi lasciando gli altri quaranta agli uomini.
Chi non crede a questa sorta di rattoppo è la sociologa Lilli Pruna (Sel):«Un recupero al ribasso, che tenta di cancellare questa vergogna, sarebbe ancora più fastidioso», afferma, «è più dignitoso allora lasciare finire questa legislatura nella vergogna. Le donne hanno pagato l’ipocrisia soprattutto dei partiti maggiori, i quali ne subiranno le conseguenze per non aver voluto adeguare la legge elettorale al dettato costituzionale».
Laura Moro, consigliera regionale di parità ritiene che la scelta del Consiglio fosse prevedibile. E ora che fare? «Occorre reagire», dice Moro, chiamare a raccolta le associazioni, i movimenti gli organismi, i cittadini che credono in una democrazia paritaria».
Il muretto a secco della democrazia: così Claudia Zuncheddu (Sardigna libera) definisce la bocciatura a voto segreto della norma. «I 40 fautori di questa “democrazia formale vigilata”, pur di imporsi come i padroni incontrastati degli inciuci della politica sarda, hanno soppresso i diritti civili delle minoranze politiche e delle donne», afferma Zuncheddu, «a loro resterà la responsabilità politica».
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