Programma “Ritornare a casa”: più finanziamenti e più difficoltà di accesso
Proposta di legge n. 588 su “Incremento autorizzazione di spesa determinata per gli anni 2013-2015 (legge finanziaria 2013). Integrazione del fondo regionale non autosufficienza per il programma d “Ritornare a casa”.
Apprezzabile la proposta di Legge ma è incompleta. Il Programma “Ritornare a casa” non è solo una questione economica ma anche di possibilità di poter accedere. Peccato che l’accesso per i cittadini non autosufficienti sia stato reso particolarmente difficile tanto da escludere anziché includere.
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Tracce del mio intervento
La proposta di chiedere l’autorizzazione al Consiglio Regionale di incrementare il fondo di spesa per il programma “Ritornare a casa” di ulteriori 8 milioni, in aggiunta ai 20 milioni già stanziati dalla legge finanziaria 2013, in modo da porre a carico del bilancio regionale, esclusivamente per il 2013, non solo la quota di finanziamento a carico della Regione (80%), ma anche quella di cofinanziamento a carico dei Comuni (20%), impossibilitati dall’esiguità dei fondi dei propri bilanci, deve trovare sostegno e accoglimento in quanto strumento per far fronte al gran numero di domande pervenute in Assessorato.
Ma occuparsi dei soli aspetti economici non è sufficiente, anzi può diventare inutile se non si consente l’accesso al finanziamento da parte dei beneficiari. Nel corso degli anni, infatti, il programma è stato oggetto di una serie di modifiche legislative che, lungi dal migliorarne la funzionalità e gli obiettivi come riportato nella proposta di legge in esame, hanno snaturato il programma stesso, rendendo i criteri d’accesso sempre più restrittivi e complicando le procedure burocratiche, in modo da escludere piuttosto che includere il maggior numero degli aventi diritto.
L’incremento progressivo del numero dei progetti finanziati nel corso di questi anni, passato da 1000 nel 2009 a 1776 al 30 settembre del 2013, è indicativo del grande gradimento del programma “Ritornare a casa”, della sempre più diffusa conoscenza di questo strumento di assistenza da parte dei cittadini, grazie anche all’azione informativa svolta dai Servizi Sociali dei Comuni. Ma è anche conseguente all’aumento del numero di anziani ultrasettantenni e ultraottantenni, grazie all’aumento della vita media, particolarmente elevata nella nostra Regione, che comporta un incremento dei soggetti non autosufficienti o poco autosufficienti anche solo per l’età.
I destinatari del programma sarebbero stati molti di più se la risposta della Regione al crescente numero di domande, non fosse stata quella di rendere le maglie dell’inclusione sempre più strette, controbilanciando l’aumentato numero con una maggiore gravità della patologia, così da escludere tutte quelle fasce di popolazione per le quali il programma “Ritornare a casa” era stato istituito.
Per comprendere meglio tali affermazioni voglio rammentare che questo è un provvedimento a favore della non autosufficienza, finalizzato a sviluppare la domiciliarità dei servizi alla persona in difficoltà attraverso l’elaborazione di un progetto personalizzato che mette al centro dell’intervento la persona stessa con i suoi bisogni reali.
Le prime Linee di Indirizzo per l’attuazione del programma, allegate alla Deliberazione N 42/11 del 2006, nel descrivere gli obiettivi indicano chiaramente che “il programma è rivolto prioritariamente ad anziani non autosufficienti o con grave rischio di perdita di autosufficienza, a persone con disabilità psichiche o fisiche, alle persone con disturbo mentale ospiti di strutture residenziali, che esprimono il desiderio e sono nelle condizioni di ritornare nella propria famiglia, dando particolare attenzione alle persone con demenza o nella fase terminale della vita”.
Indicano anche 3 livelli di intensità assistenziale: assistenziale medio; assistenziale elevato; assistenziale molto elevato a seconda del grado di perdita di autonomia e della necessità di assistenza nell’arco della giornata.
Sempre nelle linee guida è ben esplicitato che il progetto personalizzato, oltre a dover assicurare il miglioramento del grado di autonomia e/o della qualità della vita delle persone non autosufficienti o con ridotta autosufficienza, si propone di favorire un più efficace uso delle risorse attraverso il superamento di forme di istituzionalizzazione costose e spesso poco rispondenti alle esigenze degli assistiti e delle loro famiglie (già allora i costi per il mantenimento di anziani in comunità alloggio e case protette veniva stimato attorno ai 30.000 € l’anno per utente).
Favorire la domiciliarità dei servizi alla persona per ottenere l’altro importante traguardo di risparmiare risorse pubbliche. Peccato che nessuno dell’Assessorato Regionale alla Sanità della Regione, ci abbia mai comunicato di che entità è stata tale riduzione di spesa conseguente alla mancata istituzionalizzazione di tutte le persone che ad oggi beneficiano dei finanziamenti del programma “Ritornare a casa”!
Già a partire dalla Delibera n 8/9 del 2008 si trovano le tracce di una prima alterazione dell’impianto del programma poiché si dispone che vengano finanziati prioritariamente i progetti in favore dei pazienti affetti da SLA, in fase terminale della loro vita o con grave stato di demenza ai quali viene attribuito un punteggio pari a 3 sulla base della scala CDR (Clinical Dementia Rating Scale).
In questo modo scompaiono i livelli assistenziali e vengono esclusi a priori tutti quei soggetti anziani non autosufficienti o a grave rischio di perdita di autosufficienza, per il solo fatto di non necessitare di un livello assistenziale molto alto riservato a persone con grave deterioramento cognitivo.
Con la successiva Delibera n 28/12 del 2009, i requisiti d’accesso sono stati ulteriormente modificati, riservando gli interventi alle situazioni che necessitano di un carico assistenziale “molto elevato” e quindi affetti da SLA, in fase terminale della loro vita, con grave stato di demenza con punteggio alla CDRs non più pari a 3 ma pari a 5. Un’altra bella trovata per escludere, questa volta, un gran parte di individui affetti da deterioramento cognitivo. Infatti quando si arriva all’attribuzione del punteggio 5 il demente è in fase terminale, allettato, incapace di comunicare. Di certo in queste condizioni non può giovarsi del miglioramento del grado di autonomia e della qualità di vita previste come finalità dal progetto personalizzato “Ritornare a casa”!
Tutti quelli con grave perdita di memoria, disorientati, privi di capacità di giudizio e quindi di valutare le situazioni di pericolo, incapaci di comunicare i propri bisogni, solo per il fatto che sono deambulanti non vengono ritenuti tali da dover beneficiare di una assistenza continua!
Come se tutto ciò non bastasse, a partire dal 2013, l’accesso è diventato ancor più restrittivo grazie alla revisione delle linee di indirizzo del programma “Ritornare a Casa, in allegato alla Delibera N. 44/8 del 07/11/2012, dove, al punto 8 relativamente alla valutazione multidimensionale, specifica che “le scale di valutazione strettamente cliniche ( Karnosky e CDRs) devono essere somministrate e firmate da uno specialista di struttura pubblica o convenzionata con preparazione professionale ed esperienza nelle discipline connesse alla tipologia del paziente da valutare”.
Considerato che le Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) e i sevizi di Specialistica Ambulatoriale non sono in grado di evadere le richieste di visita neurologica entro i tempi previsti per la procedura del piano personalizzato (30 giorni per una prima attivazione, due mesi per il rinnovo annuale), a causa di liste d’attesa anche di 6-8 mesi, questo comporterà l’impossibilità di presentare la domanda di accesso al finanziamento con conseguente esclusione dei soggetti aventi diritto non per mancanza dei requisiti richiesti ma a causa di impedimenti organizzativi indipendenti dalla volontà dei cittadini.
Ma anche supponendo il superamento delle lunghe liste d’attesa, resta il problema insormontabile che i livelli essenziali di assistenza (LEA) per la specialistica ambulatoriale, come riportato sul portale del Ministero della Salute, prevedono solo le visite specialistiche, le prestazioni terapeutiche e riabilitative, la diagnostica strumentale e di laboratorio, escludendo le relazioni mediche e le certificazioni, che possono essere compilate dallo specialista convenzionato solo fuori dall’orario di servizio e in regime libero professionale. Tanto meno gli specialisti ambulatoriali della ASL possono garantire visite domiciliari, se non strettamente finalizzate a scopi diagnostico terapeutici, per redigere un certificato.
Insomma! Un nuovo artificio, in questo caso burocratico, per contenere ulteriormente il numero degli aventi diritto. Ma non basta. A questo si aggiunge la palese violazione del diritto di ciascun cittadino di scegliere liberamente lo specialista a cui affidare la gestione della propria salute in quanto lo si obbliga a rivolgersi esclusivamente allo specialista della struttura pubblica. Ricordo che all’Art. 27 del Codice di Deontologia Medica è scritto che “La libera scelta del medico e del luogo di cura da parte del cittadino costituisce il fondamento del rapporto tra medico e paziente. Nell’esercizio dell’attività libero professionale la scelta del medico costituisce diritto fondamentale del cittadino.
E non può certo addursi a giustificazione di un simile provvedimento la volontà di superare la disomogeneità nelle procedure al fine di uniformare su tutto il territorio regionale la gestione del programma “Ritornare a casa”, come dichiarato pubblicamente dall’Assessore De Francisci. E’ una buona cosa mirare ad una valutazione omogenea delle richieste da parte dei Comuni proponenti e delle UVT esaminatrici. E’ senza dubbio utile usare una metodologia standardizzata su tutto il territorio regionale nelle modalità di valutazione dei progetti. Ben venga dunque il fac simile del verbale UVT.
Ma cos’ha questo a che vedere con la visita specialistica e con la compilazione delle scale di valutazione?
La compilazione di una specifica scala di valutazione non è un mero atto burocratico ma è un atto tecnico, attestante la gravità della patologia da cui un soggetto è affetto e può essere redatto da qualsiasi specialista ( neurologo o geriatra per quanto riguarda il CDRs) regolarmente abilitato all’esercizio della professione, a prescindere dal fatto che sia un medico di struttura pubblica o un libero professionista.
E’ anche questo un atto medico, come quello diagnostico e terapeutico, che fa parte del normale svolgimento dell’attività di un sanitario. Con la modifica contenuta in queste nuove linee guida si lede la dignità dei medici che esercitano la libera professione considerati a priori disonesti dalle istituzioni politiche o comunque “non abilitati “ alla compilazione di atti medici.
E neanche si può giustificare tale modifica con il fatto che bisogna attuare un maggiore controllo sulla procedura affinché venga espletata correttamente poiché questo compito di supervisione viene già svolto dal medico dell’UVT che è un medico dipendente della ASL che redige la sua relazione dopo aver preso visione del documento specialistico e dopo aver visitato personalmente il soggetto richiedente.
A seguito di queste considerazioni le due richieste da fare sono
– Riportare il punteggio alla CDRs da 5 a 3 per i soggetti affetti da deterioramento cognitivo
– Eliminare la modifica apportata alle nuove linee guida relativamente al punto in cui è scritto che le scale di valutazione clinica devono essere compilate da uno specialista di struttura pubblica o convenzionata, riportando la situazione allo status quo.
Legge votata all’unanimità:
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