Leo nei meandri della psicanalisi nell’era del web
di Claudia Zuncheddu
Articolo pubblicato su il manifesto sardo il 16-07-2017
Leo, il romanzo di Daniela Piras, giovane scrittrice sarda, si fa amare per la freschezza con cui, raccontando una storia di ordinaria amministrazione, stimola riflessioni sulla metamorfosi comportamentale dei giovani nell’era del web. L’argomento è facile preda della psicanalisi.
La storia di Leo si presta a diverse interpretazioni stimolanti, la prima è sotto il profilo patologico. Qualche psicanalista, a mio avviso, seguendo una pista sbagliata attribuisce a Leo un disturbo narcisistico, facendosi sfuggire una figura apparentemente insignificante e marginale nel romanzo: la madre di Leo. Il narcisista patologico è un manipolatore che necessita di una platea dove esibire la grandiosità del proprio ego e dove individuare la vittima a cui creare in modo consapevole dolore.
Leo invece sfugge dal mondo reale, schiva chiunque possa incrociare nelle rare uscite da casa, dalla sua stanza, dal suo mondo virtuale. E’ ossessionato dal più banale incontro con chicchessia, dai genitori che vanno periodicamente a trovarlo con i rifornimenti per la sua sopravvivenza, agli studenti con cui condivide l’appartamento. Meglio non uscire di casa, neppure aprire le finestre, per tuffarsi nel mondo virtuale che gli offre tutto ciò che desidera senza chiedergli in cambio alcuna verità.
Leo di fatto è vittima del narcisismo patologico e paradossalmente subdolo di sua madre che lo ha infragilito e svuotato trasformandolo in contenitore del suo grande ego. Il bambino Leo, per chi l’ha messo al mondo, non deve crescere. Alla sua inadeguatezza nell’infanzia, segue quella nell’adolescenza e nella fase della gioventù. La sintesi di quest’aspetto relazionale tra madre e figlio è espressa nella frase ricorrente “Ometto di mamma…hai mangiato… hai dormito… hai studiato?”. Leo ha 25 anni e tra i tanti mali ha pure una sessualità inevitabilmente soffocata. La fantasia del sesso potrebbe risvegliargli la curiosità per il mondo reale.
Leo falsamente brillante, speciale, con tanti esami sostenuti, ad un tiro di schioppo da una laurea in Scienze naturali, è la condizione irreale su cui converge la complicità tra madre e figlio. E’ con l’aiuto materno che Leo ha costruito le barriere di difesa dal mondo reale, a partire dalla notoria puzza emanata dal suo corpo e creata ad arte perché nessuno gli si avvicini. Solo la madre seppur perfettina è la sola a non cogliere quell’irresistibile fetore da cui tutti fuggono.
In conclusione, Leo non ha voglia di vedere e di manipolare nessuno. E’ solo un bugiardo per necessità che fugge su internet alla ricerca dell’identità negata. Se nel romanzo c’è un personaggio con un disturbo narcisistico di personalità andrebbe ricercato nella figura pallida e sfuggente della madre. Leo potrebbe essere più che narcisista patologico, la vittima del narcisismo materno.
Il romanzo di Daniela Piras stimola il fascino della psicanalisi spostando l’attenzione verso i dintorni dell’attore apparentemente principale e nello stesso tempo spalanca la finestra sul vasto mondo virtuale delle nuove generazioni. La rete può soddisfare bisogni e inibire stimoli. Consente, chiudendo la porta di una camera, di trovare la soluzione, seppur effimera, ai fisiologici conflitti generazionali tra genitori e figli. Non è più necessario fuggire. Eppure è da quei conflitti che si costruiscono le fondamenta dell’emancipazione e dell’indipendenza dell’individuo.
Quel mondo virtuale, può evocare il fascino della Fata Morgana, quel miraggio che nel deserto attrae irresistibilmente il viaggiatore inconsapevole, disorientandolo sino a farlo perdere nelle grandi sabbie dove farlo morire.
La scrittrice sarda, con il suo romanzo Leo, stimola la fantasia e le riflessioni del lettore su temi di grande attualità e del quotidiano di tutti. Essa lascia ampi spazi dove avventurarsi persino nei meandri della psicanalisi.
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