Legge elettorale: “bipolarismo” il grande male della politica sarda – Un’ “oligarchia maschile e maschilista” che ha messo in ginocchio la Sardegna continua ad escludere le donne
20/06/2013
Tracce d’interventi
La 14° Legislatura resterà nella storia come artefice della più discriminante e antidemocratica Legge Sarda che discrimina la società sarda, costituita per oltre il 50% dalle donne e dal ricco patrimonio rappresentato dalle minoranze politiche soprattutto identitarie e indipendentiste.
Le soglie di sbarramento nel nostro sistema elettorale ledono il principio che tutela la partecipazione delle minoranze all’interno delle assemblee elettive.
La governabilità del sistema politico è in perfetto equilibrio con tutte le rappresentanze democratiche.
La paura dell’instabilità di governo, è solo un alibi, visto che la stabilità è garantita dal premio di maggioranza per chi vince, nonché dall’elezione diretta del Presidente, per cui la “governabilità” non può essere compromessa dalla “doppia preferenza di genere” nè da un’equa rappresentanza delle minoranze politiche e culturali.
L’Art. 15 dello Statuto di Autonomia prevede che la Sardegna possa modificare la Legge Elettorale, mediante una Legge Regionale. Si presuppone che tale modifica debba essere migliorativa, ma così non è stato.
Con questa Legge elettorale, la Sardegna ha perso un’occasione per dotarsi di uno strumento elettorale efficace, democratico e adeguato alle esigenze sociali di rappresentanza e partecipazione di tutta la società sarda, a partire dal genere femminile che la costituisce per oltre il 50%, a tutte quelle diversità politiche, cui spiccano le minoranze identitarie, che sono parte integrante della storia politica e sociale della Sardegna.
Paradossalmente questa Legge Sarda è uno strumento di omologazione e di perdita della nostra specificità politica e culturale. E’ una Legge fondata principalmente sull’esclusione e sulla discriminazione, a partire dalle soglie di sbarramento (10% per le coalizioni e 5% per i singoli partiti fuori coalizione).
Di fatto legislatori sardi, in modo suicida, introducono il bipolarismo italiano che si contrappone alle peculiarità sarde. Un bipolarismo che aspira a un bipartitismo perfetto, quindi a un sistema sempre più oligarchico, teso a concentrare potere e privilegi nelle mani di pochi incontrollabili.
Le quote di sbarramento, a favore delle stesse grandi coalizioni, penalizzano le formazioni “minoritarie” che sono alla base di una democrazia partecipata e che rappresentano le volontà e le identità dei cittadini e dei singoli territori sardi. Questo è un affronto alla Democrazia e rappresenta l’arroganza di chi, all’interno dei grandi schieramenti non vuole “scomodi testimoni dei loro inciuci politici e partitici” di cui oggi la Sardegna paga alti costi.
E’ compito della classe politica interpretare la democrazia, e quindi le leggi, come lo strumento prioritario di partecipazione popolare alla gestione trasparente del Bene Pubblico: visto come bene collettivo e non privato.
Questa Legge dovrebbe essere, per i sardi, lo strumento che regola la più ampia partecipazione alla gestione del bene pubblico garantendone rappresentatività e trasparenza degli atti amministrativi. Purtroppo invece è una Legge indecente, perché animata da una volontà di esclusione della partecipazione popolare, ribadisco: mirando a creare oligarchie e accentramento dei poteri.
Questa logica di “limitazione della democrazia” è stata già attuata, prima in questa sede e poi nel Parlamento italiano, con la riduzione del numero dei consiglieri sardi, da 80 a 60, con l’alibi strumentale della “riduzione dei costi della politica”: una logica tesa a eliminare le minoranze politiche, soprattutto quelle identitarie, ma anche a penalizzare sempre di più la rappresentanza di genere femminile, che benché nella società sarda sia maggioranza, viene esclusa con lo stesso disprezzo e fastidio che questa classe politica riserva alle minoranze e quindi alla democrazia.
Le 7 donne elette in questo Consiglio (di cui 3 con il Listino), con il taglio delle rappresentanze del 25%, da tutti voluto e condiviso, escluso dalla sottoscritta, si ridurranno sino a scomparire.
Questa esclusione non solo è un crimine contro la società, ma anche contro i principi dello Statuto di Autonomia, e della stessa Costituzione italiana che ribadisce nei suoi principi l’equa rappresentanza di genere.
La discriminazione di genere è una causa importante dell’inaridimento delle nostre istituzioni, della cattiva gestione del “bene comune”, dell’impoverimento culturale, sociale e anche economico che è sotto gli occhi di tutti.
Questa Legge, è l’interpretazione sempre più patologica della Politica, che ammantata di paternalismo, prettamente maschile e maschilista, esclude le donne dalla partecipazione e dalla decisione alle scelte comuni, salvaguardando con ciò una visione opportunistica e privatistica del Potere Politico, che spesso e volentieri, percorre soltanto interessi personali e di piccole e grandi lobby economiche e finanziarie, a danno delle collettività.
La società sarda, profondamente in crisi, non può intraprendere alcun processo di emancipazione e di partecipazione popolare alla creazione di una democrazia di base, che rispetti le scelte economiche e sociali delle singole collettività e territori che si integrano in un processo collettivo sardo senza portare avanti una “democrazia paritaria” fra generi che sia rappresentata anche in un Progetto di Legge elettorale che rompa il “ghetto” a cui il genere femminile è stato relegato da una classe politica sarda e italiana miope e paternalista.
La stessa Legge Costituzionale (n° 2 del 31 gennaio del 2001) per l’elezione dei consiglieri delle Regioni Autonome a Statuto Speciale ha introdotto il principio del riequilibrio delle rappresentanze dei sessi, per cui questa proposta di Legge, che furbescamente è stata prima rinviata al dopo elezioni per il Parlamento italiano, per fa sì che il proprio elettorato femminile non si indignasse e “docilmente” andasse a votare secondo le indicazione delle segreterie dei partiti, senza disturbare i “manovratori”.
Quest’élite politica ancora una volta ha fatto male i conti perché questa proposta di Legge è una palese violazione del nostro Statuto di Autonomia e pone un problema di omissione di Leggi costituzionali dello Stato italiano.
Da qui la necessità di riformulare radicalmente la Proposta di Legge nel rispetto dei diritti di un Popolo e quindi della società sarda ad essere rappresentata nelle sedi istituzionali nella sua interezza: dalle ricche minoranze politiche alle diversità di genere, a cui la società sarda non può rinunciare.
Per risolvere la sotto-rappresentazione del genere femminile all’interno degli organi politici rappresentativi, è necessario che si mettano a disposizione delle donne degli strumenti elettorali che agevolino il loro ingresso all’interno delle istituzioni.
Questo è ciò che ha voluto violare questa Legge, ovvero la “doppia preferenza di genere”, già adottata in diverse regioni d’Italia e che ha portato ad un seppur parziale, riequilibrio di rappresentanza.
La paura di questa “oligarchia politica” di essere disarcionata dalla sella del potere è tangibile in tutta l’impostazione della Proposta di Legge elettorale, tanto da esitare con il voto segreto, con cui 40 consiglieri negano il diritto di rappresentanza alle donne e quindi alla nostra società.
La Trasparenza e il voto palese, dovrebbe essere la regola in votazioni democratiche e non pilotate da accordi precostituiti tra i soliti noti, con il fine di conservare un Consiglio sempre più blindato che discrimina pesantemente tutta la società sarda e favorisce la creazione di una “oligarchia politica e maschilista” che non debba rendere conto ai cittadini delle proprie scelte. Ma la nostra democrazia malata, ha premiato l’arroganza maschile e maschilista, nonché l’umiliazione di 39 “mezzi uomini” di tutte le parti politiche che si sono nascosti dietro il muretto a secco, costruito da Mario Diana del Pdl.
Claudia Zuncheddu
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