La Guerra del Mali, crocevia turbolento del mondo
REPORTAGE – Linea diretta dalla Sardegna al Sahel – L’Unione Sarda 15/01/2022
Cronache da un Paese sotto chiave dove le grandi potenze si contendono le immense risorse naturali.
Claudia Zuncheddu
E’ guerra in Mali. Non si esce più. Frontiere aria/terra chiuse. Ingresso solamente per materiale farmaceutico e beni di prima necessità. Air France sospende i voli. Il Nord e il Centro del Paese sono sotto controllo jihadista. Gli scontri tra truppe governative appoggiate dal Gruppo Wagner (mercenari russi) e terroristi non si attenuano.
Le popolazioni, già stremate dai conflitti etnici e da una crisi climatica sempre più grave, subiscono la violenza sia dei militari governativi che dei gruppi terroristici intenti ad occupare i territori, a imporre tasse, a minacciare i capi villaggi e a uccidere per costringere i giovani ad arruolarsi nelle loro fila.
Il cuore del problema
Il Mali oggi è l’epicentro dei conflitti del Sahel su cui affonda le radici la crisi politica internazionale. E’ il Paese più insicuro del Sahel. La Francia che fallisce sul fronte politico e militare attacca la Russia e il suo ingresso nel nuovo scenario geopolitico saheliano. Ma con l’alibi della lotta al terrorismo e all’emigrazione, sono diversi i Paesi europei (oltre al Canada), mai interessati al Sahel, come ad esempio l’Italia, che potenziano le diplomazie e la presenza militare.
Cosa c’è dietro?
L’attacco contro la giunta militare maliana, dal versante europeo, non è solamente perché avrebbe assoldato la società privata Wagner con i finanziamenti pubblici, ma anche perché resta in sospeso la questione della transizione militare, promessa dopo il golpe del 2020 e a tutt’oggi rinviata. A innescare la bomba è la Cedeao l’unione economica di otto Paesi africani dell’ovest, di cui il Mali fa parte.
Il problema economico
La Cedeao, chiede che la giunta militare illegittima garantisca la transizione verso le elezioni democratiche subito e non tra cinque anni. Il tempo ritenuto utile dalla giunta per definire il nuovo assetto delle partnership militari internazionali e il potenziamento dell’esercito. I Paesi membri della Cedeao intanto hanno richiamato gli Ambasciatori e messo al bando il Mali. Scatta il piano di pensanti sanzioni economiche e finanziarie. Il Paese è sotto embargo. Tutto questo, in nome del ripristino della sicurezza, è il terreno più ambito dal neojihadismo per le sue infiltrazioni e il suo radicamento.
Un territorio ambito
Il Sahel, la fascia subsahariana lunga 8.500 chilometri con i suoi 12 Stati, non è solo la crosta terreste povera dove le crisi climatiche da sempre alimentano i conflitti etnici per l’acqua e i pascoli da contendersi. Su questa periferia del mondo si risvegliano gli interessi delle potenze occidentali e non solo.
La “militarizzazione”
L’impegno delle grandi democrazie contro il terrorismo e le migrazioni si rivela un alibi sempre meno credibile. Tant’è vero che gruppi etnici come i Tuareg nel Nord del Mali (Azawad) abbandonati a sé stessi, si organizzano militarmente in autonomia per contrastare la violenza jihadista.
Spinte contrastanti
La destabilizzazione degli Stati, di cui il terrorismo è lo strumento principe, può essere la via di uscita dalla crisi dell’Occidente. La destabilizzazione con guerre e terrorismo è indispensabile per la creazione di un nuovo riordino mondiale dell’economia attraverso l’accaparramento delle risorse laddove ci sono. Il Sahel è da reinterpretare alla luce di un quadro geopolitico in continua mutazione, dove lo jihadismo fiorisce indisturbato. Il crescente dispiegamento di forze militari governative e internazionali, infatti, crea solamente pressione sulle popolazioni accentuando i conflitti interni. Sono i civili a pagare i prezzi più alti mentre il terrorismo avanza. Numerosi anziani e bambini sono stati giustiziati e seppelliti sollo le sabbie.
Terreno di scontro
Nel sahel si gioca una grande partita che vede nel Mediterraneo il nuovo confine tra un Nord che non ha futuro senza le risorse del Sud e un Sud depredato delle sue ricchezze, incendiato dalle guerre e crocevia di traffici internazionali di droga, di armi e di esseri umani. E’ questo lo scenario fronte porto sul quale nessuno, neppure noi sardi, possiamo chiudere gli occhi.
Una nota personale
Perché sono qui? Per un rapporto di fratellanza e di solidarietà con i Tuareg. La sopravvivenza di un popolo necessita di acqua e di istruzione. E’ su questi bisogni che da circa vent’anni, con il supporto di amici sardi, sosteniamo un progetto di scolarizzazioni e di rilancio della medicina tradizionale a favore dei Tuareg a sudovest di Timbuctu. E’ recente anche la costruzione di un nuovo pozzo a Gargando. Nonostante le complicazioni politiche in corso, le nostre scuole non sono state chiuse dai jihadisti. Il pozzo è divenuto un punto di vitale importanza per i villaggi e per le mandrie. Impossibile avventurarsi lontano.
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