IL DIBATTITO SULL’IDENTITÀ
Unione Sarda 01-10-2017- Intervista a Claudia Zuncheddu
L’appello di Claudia Zuncheddu: un grande fronte per l’autogoverno
«Con l’indipendenza tutti avranno uguali diritti»
Mentre Barcellona vota sull’indipendenza, Claudia Zuncheddu guarda con ansia alla Catalogna: «La repressione di Rajoy contro il popolo sovrano mi preoccupa», confida la fondatrice di Sardigna libera, «ha schierato 10mila militi per impedire che ci si pronunci».
Ci sarà mai un percorso d’indipendenza simile, in Sardegna?
«Il governo catalano ha una maggioranza indipendentista e identitaria. Da noi, parte dei cosiddetti sovranisti sostiene le politiche neoliberiste di Pigliaru. Questo è un freno al processo di costruzione di un vasto fronte indipendentista». Per alcuni l’indipendentismo della ricca Catalogna somiglia più all’egoismo padano che all’indipendentismo sardo. Condivide? «Non esiste l’indipendentismo delle regioni ricche contrapposto a quello delle regioni povere. Esistono i popoli senza Stato con le loro rivendicazioni. Storicamente la Catalogna, come la Sardegna, è una nazione senza Stato, con una storia e un’identità fortissima, ma sotto dominio coloniale».
Intanto la Lega celebra i referendum per l’autonomia del nord.
«Prima la Lega scimmiottava il sardismo. Oggi è tutt’altro, un movimento razzista e xenofobo che cavalca le paure dei popoli in modo spregiudicato, quindi è un nostro antagonista politico».
Confronti a parte, che senso ha chiedere l’indipendenza oggi?
«La Sardegna, con una storia diversa da quella sabauda, rinunciò con la Fusione perfetta del 1847 alla condizione di Stato. Si generò un’oppressione coloniale che è alla base dei nostri mali. L’indipendenza è il futuro, con un ritorno alla dignità del passato. Ridiscute i privilegi costituiti, mira all’uguaglianza di tutti. Tutti devono avere uguali opportunità: diritto alla salute, al lavoro, allo studio, alla felicità; libero autogoverno del territorio, della cultura, dell’economia».
Su quali battaglie concrete deve impegnarsi la politica sarda?
«La difesa degli ospedali, la sanità pubblica di qualità e gratuita per tutti. La tutela dell’ambiente, del settore agropastorale, della piccola-media industria. La difesa della scuola pubblica e della cultura e lingua sarda; la difesa del territorio dal cemento e da tutto ciò che inquina, militarizzazione compresa».
Quale sviluppo economico immagina, nei prossimi vent’anni?
«La materia prima è il nostro unicum ambientale. Un progetto di governo deve tener conto anzitutto dell’economia agropastorale, condizione per un turismo realmente produttivo. Assurdo importare l’80% dei prodotti alimentari».
E all’industria dice no?
«Dico sì all’industria di trasformazione dei nostri prodotti, della farmaceutica, del sale, dei tessuti. Sì all’alluminio, per ottenere prodotti finiti dal riciclo; non per produrre veleni. No ai modelli di sviluppo imposti come il petrolchimico, che hanno dato profitti per pochi e alti costi in termini di salute».
Senza i fondi statali, come si gestiranno i servizi alla collettività?
«C’è una vertenza entrate che non è da barattare con le pensioni o con gli oboli ai Comuni. Certe logiche ricordano i fondi straordinari per i Piani di rinascita: di straordinario non c’era nulla, i Piani erano pagati con i soldi che lo Stato doveva ai sardi. E oggi noi ci paghiamo sanità e trasporti interni».
Gli indipendentisti criticano chi si è alleato con Pigliaru, ma anche lei nel 2014 si candidò in quella coalizione, con Sel. Fu un errore?
«Non è tanto grave essere eletti in una coalizione, il problema è: al servizio di chi si mette una forza indipendentista? Nel 2009 fui eletta con la coalizione di Soru e feci grandi battaglie, spesso in solitudine ma mai al servizio di nessuno, se non degli interessi dei sardi».
Su quali punti rimase sola?
«Per esempio per lo scandalo del G8 alla Maddalena nessun consigliere ebbe il coraggio di firmare la mia mozione. Vinsi da sola la battaglia giudiziaria contro la protezione civile di Bertolaso. Poi nel 2014 i miei appelli all’unità del mondo identitario cozzarono con posizioni precostituite. Mi candidai da indipendente con Sel perché in Consiglio sosteneva la mie battaglie. Capii poi che era per opportunismo. Oggi mi chiedo cosa ci fosse dietro il rifiuto dell’unità indipendentista, chi fossero gli sponsor italiani. Il perché di quel settarismo, utile a dividere».
Le piace l’idea di una casa comune degli indipendentisti aperta a chi ebbe ruoli rilevanti nei partiti italiani, come Pili e Oppi?
«Quando crolla il partito italiano di riferimento, non basta una berritta in testa per diventare sardisti. Ma Pili, di cui pure non condivido molte posizioni, segue da tempo il percorso identitario, gliene va dato atto. Il suo posto è in un fronte fuori dai blocchi italiani. Non me ne voglia invece Oppi, ma sulla rete ospedaliera non vorrei che fosse proprio lui il trait d’union tra Giunta e centrodestra».
Come si schiereranno le forze dell’autogoverno alle Regionali?
«Auspico che tutti i movimenti di matrice identitaria, sardista e indipendentista si uniscano sui grandi temi, lasciando anche spazio ai movimenti italiani progressisti che stanno fuori dai blocchi italiani e dalle loro politiche coloniali».
E alle elezioni Politiche, invece?
«Gli indipendentisti devono essere lì dove si decide il destino dei sardi. Un cartello che veda unite le nostre forze è necessario».
Sardigna libera parteciperà?
«Lavoriamo in quel senso, ma non solo per un cartello elettorale. Aborriamo il concetto di partito: parliamo di un movimento che può sciogliersi in un fiume che porti all’autodeterminazione e a costruire l’indipendenza. Per farlo dobbiamo governare, costruendo un grande movimento identitario che cambi il nostro destino».
Giuseppe Meloni
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