I costi della politica
Non sono d’accordo con il collega Sabiu che considera “sperpero di danaro pubblico” la seduta di oggi sul tema riguardante “i costi della politica”. Così pure ho colto in numerosi interventi che mi hanno preceduto, la superficialità sino alla banalizzazione di un argomento così importante e sentito dalla cittadinanza. Il senso del dibattito su questo tema va oltre i confini dei costi della politica all’interno dell’amministrazione della nostra città, anzi sarebbe opportuno che il Consiglio comunale di Cagliari si facesse portavoce della necessità della rivisitazione dei costi della politica a partire da quella nazionale sarda, sino a tutto il sistema generale.La politica non può essere un mestiere, anzi noi siamo parzialmente prestati all’attività politica sino a quando la gente ci vota. Ma parlando di costi, un consigliere regionale guadagna mensilmente quanto un operaio guadagna in un anno. Perché? Che cosa giustifica un guadagno così elevato? Ha forse scoperto la penicillina o qualcosa che ha salvato il mondo? Ma come se non bastasse, per i “poverini” che non vengono rieletti, sono pure previsti circa 150.000€ per il reinserimento nella società civile: privilegio di certo non previsto per i poveri disoccupati.Per ogni cittadino prestato alla politica, i costi dovrebbero essere rigorosamente in armonia con la propria dichiarazione dei redditi antecedente all’inserimento nel mondo politico. Così pure è ingiustificato che un professionista abbandoni la propria attività per “fare il politico”. Non confondiamo i “costi della politica” con i “costi della democrazia” anche perché se così fosse, oggi paradossalmente saremo in una situazione dove il costo della politica per i contribuenti è altissimo, contro un livello di democrazia e di partecipazione bassissimo che tende ad escludere nei fatti il controllo popolare sull’attività e sulle scelte delle singole istituzioni.Siamo di fronte ad una democrazia fortemente “autoritaria” e “verticalizzata”, “elitaria” nel senso che tende nella maggior parte dei casi ad autorigenerarsi sempre all’interno degli stessi ceti o economici o politici che possiamo definire “caste”, perpetuando da padre in figlio, da burocrate a burocrate i meccanismi di controllo del “volere popolare” sempre nelle stesse mani.Questo sistema è di fatto un impedimento al rinnovamento della politica e alla creazione di spazi di democrazia partecipativa.L’unico cambiamento di questa classe politica è la completa rottura di quei cliché e di quei metodi che portano alla chiusura all’interno delle proprie “torri di avorio” dei privilegi personali, con l’esclusione di fatto dei bisogni dei cittadini e della loro partecipazione, rinnegando con ciò il proprio mandato elettorale ed arrivando persino ad acrobatici “salti della quaglia” fra i vari schieramenti politici, purtroppo sempre più simili nei metodi.Questa rottura non può essere concepita solo come una semplice “politica delle alternanze” fra maggioranza di oggi con quella di domani, ma come un cambiamento radicale che definisco “alternativa”, che parta necessariamente dai bisogni, dalle aspirazioni e dai sogni della gente che lavora e che produce, dei disoccupati esclusi da questo mondo, come se il lavoro, la dignità personale e la partecipazione democratica fosse un privilegio per pochi intimi.Da qui la necessità di costruire un progetto di rinnovamento radicale che coinvolga in maniera responsabile tutte le categorie a partire dai disoccupati per finire con i liberi professionisti, gli agricoltori, i pastori, gli imprenditori.In Sardegna per questo progetto di alternativaABBIAMO BISOGNO di tutte le intelligenze e le sensibilità democratiche.ABBIAMO BISOGNO della partecipazione popolare a tutti i livelli (dalle assemblee di condominio al Consiglio Comunale)ABBIAMO BISOGNO di costruire un reale sviluppo armonico e partecipato per la nostra città.E’da queste basi che bisogna partire per costruire un’alternativa sociale di progresso civile e di partecipazione popolare.Questo discorso di principi non ci deve esimere dall’affrontare trovando soluzioni, i costi della macchina comunale e gli sprechi che sono sotto gli occhi di tutti.Iniziamo a ragionare sulle commissioni: il numero e la reale utilità;Sugli assessorati: il numero, l’utilità e le loro funzioni di risposta alle esigenze e alle aspettative dei cagliaritani.Facciamo una verifica degli assessorati e degli assessori. Qual’è la loro “produttività sociale” e quanto costano a partire dal Direttore Generale, dai consulenti esterni sino agli operai impiegati a tempo determinato.Questa non è una provocazione, ma è il giusto metodo per andare a verificare i costi della politica all’interno del Comune di Cagliari, per iniziare una selezione culturale e una pratica nel rinnovamento della classe politica a prescindere dagli schieramenti.Sarebbe bene all’interno di questo spirito con le rispettive differenze e assunzioni di responsabilità che gli assessori facessero di assessori, il sindaco il sindaco, e i dirigenti una volta per tutte capissero che devono fare i dirigenti di una struttura pubblica di cui loro sono al servizio e non essa una loro esclusiva proprietà. Se un dirigente vuole fare il sindaco, non c’è niente di male. Basta chiarirlo.
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