Qustu blog aggradescidi de fai logu a s’indipendentista de Oristanis Andrea Nonne chi scridi:
“La Sardegna non è una nazione”. Questo sembra il pensiero del Presidente della Provincia di Oristano Massimiliano de Seneen il quale, partendo da un odg del consigliere del Psd’Az Efisio Trincas, sostituisce il concetto di “territorio nazionale sardo” con quello di “territorio del popolo sardo”. Al di la della labilità e dell’ambiguità della modifica (la Dichiarazione Universale dei Diritti Collettivi dei Popoli afferma che ogni popolo ha il diritto ad affermarsi come nazione), si capisce chiaramente come il Presidente prenda le distanze dall’idea di nazione sarda. Un notevole passo indietro se si pensa a secoli di studi storici, politici e culturali anche di ambito non indipendentista, ma un passo indietro anche rispetto alle posizioni più volte espresse da Onida, predecessore di De Seneen. Eppure l’idea di nazione sarda, oltre ad avere una granitica coerenza con la realtà, non sembra avere al suo interno nulla di sovversivo o rivoluzionario e se vogliamo non rappresenta necessariamente una dichiarazione d’indipendenza statale-amministrativa. Forse, a costo di sembrare banali, vale la pena di andare a rivedere un paio di definizioni.
Generalmente con il termine nazione si indica una comunanza di etnia, storia, lingua, territorio, politica e cultura. Ora appare lampante come, se si esclude la politica, le altre caratteristiche accomunano senza dubbio i sardi tra di loro e li distinguono da qualsiasi altra popolo. Una definizione esclusiva a livello collettivo, perlomeno se non si intende rivoltare la teoria degli insiemi, quindi Sardegna da una parte Italia dall’altra. Ma visto che De Sennen non è certo il solo a nutrire una irrefrenabile smania di integrazione, e anzi è in questo più giustificato di altri dalle sue origini italiane, è curioso esaminare il pensiero di alcune figure chiave della cultura italiana, giusto per andare a verificare se questo sentimento di integrazione è condiviso oltre Tirreno.
Cominciamo con Dante Alighieri, padre della lingua italiana (lingua che come abbiamo visto rappresenta uno dei cardini del concetto di nazione), che nel “De Vulgari Eloquentia” sentenzia in maniera radicale l’estraneità dei Sardi rispetto all’Italia: “E anche rigettiamo i Sardi, che non sono italici ma agli italici sembrano doversi accompagnare, perocchè questi soli ci appaiono privi di un lor proprio vulgare, e imitatori di grammatica come le scimmie degli uomini”.
Il Manzoni, altro pilastro della lingua italiana oltre che del risorgimento, pur non affrontando il problema della Sardegna, nell’ode “Marzo 1821″ definisce la nazione “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor” il tutto rigorosamente “tra l’Alpe ed il mare”. Anche applicando questo criteri una è l’Italia e un’altra è la Sardegna.
Eloquente è poi il fatto che la celebre enciclopedia on-line Wikipedia, apra la pagina dedicata all’Italia con una citazione del Petrarca che recita “il bel paese ch’Appennin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe”. Il tutto in una pagina che descive in maniera scientifica l’Italia.
Ma la cosa più interessante è scoprire come nel 2002 la questione viene risolta da Marcello Veneziani, allora intellettuale di prim’ordine di Alleanza Nazionale, partito in cui il Presidente De Seneen ha militato sino all’ingresso nel Pdl e nelle cui file è stato eletto deputato del Parlamento Italiano. Ebbene Veneziani in un interessante esame “da destra” della nazione italiana parla di “particolare configurazione geografica che lascia adito a pochi equivoci: una penisola separata da un arco alpino e proiettata nel bacino mediterraneo. L’Italia esiste nella storia ma anche nella geografia (…). Non è artificio o convenzione perché combaciano cultura e natura”. Come a dire: oltre al mare terra straniera. Senza che nessuno dei dirigenti di An abbia ripreso lo scrittore per questa definizione. Ecco la migliore fotografia del non senso di questa destra sarda unionista. Perché se è vero che la confusione della sinistra può avanzare l’alibi dell’internazionalismo e della resistenza, la destra, anche quando non è nazionalista, fonda gran parte della sua elaborazione sull’onore e la difesa della patria. Così se confonde la patria, se al posto della propria onora quella del conquistatore, il suo impianto ideale non può che dar vita ad una politica che inevitabilemente seguirà intressi altri da quelli del popolo che l’ha messa a governare. Del resto va chiarito che questa è una trama vista e rivista nei paesi colonizzati, dove spesso sono proprio le forze conservatrici a schierersi con l’invasore che, come primo atto di governo, sovente aggredisce proprio la tradizione, altra parola tanto cara alla destra.
Piuttosto chi giura fedeltà alla nazione italiana, soprattutto se in maniera così esclusiva, dovrebbe abbandonare tutta una serie di simboli nazionali sardi. Chi decide di essere italiano lo faccia coerentemente togliendosi dalla bocca Eleonora d’Arborea e i Giudicati, Giovanni Maria Angioy e la Sarda Rivoluzione. Che senso ha celebrare simboli e personaggi che sono morti per difendere e affermare la sovranità della Sardegna se poi si nega spudoratamente la stessa? E soprattutto qualcuno, per favore, spieghi se il 28 aprile, celebra l’impeto di libertà o il dramma della sconfitta successiva? Le scuole sarde pullulano di bambini che hanno il diritto di sapere chi sono.
Andrea Nonne
www.grandeovest.com
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