Afghanistan: “Quale missione di pace?”
In questo momento è dovuto l’affetto per i nostri giovani militari morti comunque nell’adempiere un dovere e il cordoglio e la solidarietà alle famiglie.Una nostra riflessione è inoltre dovuta ai popoli e alle etnie afgane, vittime di una guerra scatenata da interessi estranei e stranieri propri della logica della “globalizzazione” e di un “profitto” per pochi.Tutti gli uomini liberi si domandano il perché di questi fatti luttuosi in Afganistan, in nome di chi e di che cosa.Questa guerra globale, estranea agli interessi dei sardi e presentataci come “lotta al terrorismo internazionale e difesa della democrazia”, di fatto è una guerra nel “nome del petrolio”. Non è un’“operazione umanitaria” ma una guerra spietata che colpisce per primi i popoli afgani a casa loro.L’unico modo per “uscire dal pantano” è che i governi coinvolti, compreso quello italiano promuovano urgentemente un “tavolo di pace” dove tutti gli attori internazionali e i componenti della società afgana, compresi i cosiddetti Talebani, si impegnino per costruire la pace, per far si che il popolo afgano si dia modelli e organismi rappresentativi e democratici in forme e modi in armonia con la loro cultura e tradizione.I nostri giovani, che hanno trovato nella Brigata Sassari sicuramente anche un modo per sopravvivere alla crisi e alla disoccupazione (che a distanza di 90 anni continua ad attanagliare i sardi privandoli di prospettive di lavoro e di un progresso certo), purtroppo “vanno in casa altrui a difendere la democrazia” del presidente afgano Karzai, uomo della Cia e oggi messo in discussione dagli osservatori europei per brogli avvenuti nelle recenti elezioni che formalmente gli hanno dato la maggioranza. Non si può costruire un processo di pace fra i popoli con “guerre mascherate da missioni di pace”. Per ciò che riguarda l’Italia, chiediamo il ritiro del suo contingente da una guerra che non è né degli italiani e ancor meno dei sardi. Basta con l’ipocrisia e le falsità del governo di Berlusconi che mentre dichiara di voler ritirare in breve tempo 500 soldati, inviati per garantire “elezioni democratiche” già concluse, oggi la Brigata Sassari parte con 900 uomini.Dopo il dolore di oggi è doverosa la riflessione. Claudia ZunchedduConsigliera Regionale Rossomori Allegato Il monito di Lussu e Bellieni oggi più che mai ritorna pesante nella denuncia La Brigata Sassari nell’immaginario collettivo della Sardegna in questi ultimi 90 anni ha avuto comunque un ruolo rilevante nella storia dell’Italia. Sin dalla prima guerra mondiale ha rappresentato per lo Stato italiano il “fiore all’occhiello” di quei soldati che furono gli ultimi a varcare i ponti sul Piave e i primi a ripassarlo nel contrattacco dopo Caporetto.Da questi giovani ufficiali, contadini, pastori, commercianti e liberi professionisti ebbe origine una parte del Movimento di emancipazione e liberazione del popolo sardo che in quel periodo ebbe come leader Lussu e Bellieni.Nel 1919, nel cosiddetto “biennio rosso”, la Brigata Sassari fu chiamata per mantenere l’ordine pubblico a Torino durante l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai che lottavano contro la situazione di fame e di miseria creatasi alla fine della guerra mondiale e in concomitanza delle grandi ricchezze degli industriali che gestirono i proventi di guerra. Le fu dato l’ordine di sparare sui dimostranti, ma i giovani della Brigata Sassari si rifiutarono e non essendo considerati più “affidabili” per i Comandi militari, furono ritirati dalla funzione di Ordine Pubblico e riaquarterati.Bellieni e Lussu, leader riconosciuti di questo movimento sardista e nazionalitario, chiesero ufficialmente lo scioglimento della Brigata Sassari per evitare che lo spirito di coesione, di solidarietà, di fratellanza e di sardità, che aveva permesso a questi “oscuri eroi” della nostra terra di sopravvivere alla carneficina voluta dal capitalismo di allora, venisse per l’ennesima volta usato in modo strumentale e a favore degli interessi de is meris.Oggi più che mai il monito di Lussu e di Bellieni, in occasione dei moti popolari a Torino, tornano attuali nella loro drammaticità. Claudia Zuncheddu Consigliera RegionaleRossomori
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