l’”oligarchia politica maschile e maschilista” e la questione delle donne nel Consiglio della RAS
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Le 7 donne oggi presenti in Consiglio, su 80 consiglieri, con il taglio delle rappresentanze del 25% (per la riduzione numerica dei consiglieri da 80 a 60), da tutti voluto e condiviso, escluso dalla sottoscritta, si ridurrebbero massimo a 5. Oggi, lo scandalo di una “democrazia incompiuta” in Sardegna, dovuta anche alla forte discriminazione a danno delle donne che costituiscono oltre il 51% della società sarda, e quindi la maggioranza di essa, e storicamente una colonna portante economica, culturale e sociale della nostra collettività, diventa una beffa istituzionalizzata. Questa esclusione non solo è un crimine contro la società, ma a anche contro i principi dello Statuto di Autonomia, spesso vilipeso, nonché contro la stessa Costituzione italiana che ribadisce nei suoi principi l’equa rappresentanza di genere.
La discriminazione di genere è una causa importante dell’inaridimento delle nostre istituzioni, della cattiva gestione del “bene comune” che determina l’impoverimento culturale, sociale e anche economico che è sotto gli occhi di tutti. Questo è un quadro politico riconducibile ad una “interpretazione patologica della Politica” che ammantata di paternalismo, prettamente maschile e maschilista, esclude le donne dalla partecipazione e dalla decisione alle scelte comuni, salvaguardando con ciò una visione opportunistica e privatistica del Potere Politico, che spesso e volentieri, percorre soltanto interessi personali e di piccole e grandi lobby economiche e finanziarie danneggiando gli interessi delle collettività e della stragrande maggioranza del Popolo sardo, di cui le donne sono un’ulteriore maggioranza discriminata ed esclusa.
La società sarda non può percorrere un reale processo di emancipazione e di partecipazione popolare alla creazione di una democrazia di base, che rispetti le scelte economiche e sociali delle singole collettività e territori che si integrano in un processo collettivo sardo, senza portare avanti una “democrazia paritaria” fra generi che sia rappresentata anche in un progetto di Legge elettorale che rompa finalmente il “ghetto” a cui il genere femminile è stato relegato da una classe politica sarda e italiana miope e paternalista.
La stessa Legge Costituzionale (n° 2 del 31 gennaio del 2001) per l’elezione dei consiglieri delle Regioni Autonome a Statuto Speciale ha introdotto il principio del riequilibrio delle rappresentanze dei sessi, per cui la proposta di Legge sarda, che furbescamente è stata prima rinviata al dopo elezioni dalle forze politiche che l’hanno elaborata, per far si che il proprio elettorato femminile non si indignasse e “docilmente” andasse a votare secondo le indicazioni delle segreterie dei partiti, senza disturbare i “manovratori”, continua ad essere rinviata per la sua inadeguatezza e illegittimità. Per cui quest’”èlite politica maschilista” ancora una volta ha fatto male i conti perché questa proposta di Legge, è una palese violazione dello Statuto della RAS e pone un problema di omissione di Leggi costituzionali dello Stato italiano. Da qui la necessità di riformulare radicalmente la proposta di legge elettorale nel rispetto dei diritti di un Popolo e quindi della società sarda ad essere rappresentata nelle sedi istituzionali nella sua interezza. Tutto ciò a partire dalle diversità di genere alle minoranze politiche che sono parte integrante della specificità e diversità politica sarda. Diversità che oltre 60 anni fa portarono a legiferare uno Statuto di Autonomia, un’Autonomia spesso vilipesa e volutamente ignorata dalle forze politiche che hanno governato la Sardegna.
Per risolvere la sottorappresentazione del genere femminile all’interno degli organi politici rappresentativi, è necessario che si mettano a disposizione delle donne degli strumenti elettorali che agevolino il loro ingresso all’interno delle istituzioni. Questo è ciò che deve garantire questa Legge, ovvero la doppia preferenza di genere, già adotta in diverse regioni d’Italia e che ha portato ad un seppur parziale, riequilibrio di rappresentanza. Sulla soglia di sbarramento, che ritengo ingiusta per i sardi, deve essere eliminata totalmente, in modo da rappresentare in modo democratico tutte le diversità, secondo il principio proporzionale puro, con l’eliminazione del premio di maggioranza che come si è visto anche alle ultime elezioni in Italia, non è garanzia di stabilità.
La paura di questa “oligarchia politica maschilista”, di essere disarcionata dalla sella del potere è tangibile in tutta l’impostazione della proposta di Legge elettorale, tanto che sicuramente qualcuno, in merito alla parte concernente la rappresentanza di genere, potrebbe proporre, il voto segreto, perpetuando ancora l’ennesima vigliaccata e non assunzione palese di responsabilità, affinché tutti i cittadini sappiano cosa ciascun consigliere pensa e come ha votato.
La trasparenza e il voto palese, dovrebbe essere la regola in votazioni democratiche e non pilotate da accordi precostituiti tra i soliti noti, con il fine di conservare un Consiglio sempre più blindato che discrimina pesantemente tutta la società sarda e favorisce la creazione e il potenziamento di una “oligarchia politica maschile e maschilista” che non debba rendere conto ai cittadini delle proprie scelte. Sul paventato voto segreto, vorrei tanto sbagliarmi per la salute della democrazia in Sardegna, anche se per il disorientamento che regna tra i grandi partiti italiani presenti nell’Assemblea sarda, difficilmente questa proposta di legge si discuterà prima della fine di questa Legislatura.
Claudia Zuncheddu
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