Sotto la vigilanza delle donne sarde, rinviata o forse tramontata la Legge Elettorale che esclude e discrimninadonne eminoranze politiche
Il dibattito sulla Legge Elettorale, ancora una volta viene rinviato. Martedì 5 marzo il palazzo del Consiglio della RAS si popola di donne. E’ un evento storico. Sono una settantina, arrivate da tutta la Sardegna per assistere al dibattito su una Legge sarda che nega il diritto alla nostra società, nella competizione elettorale per l’elezione del Parlamento Sardo, di una equa rappresentanza di genere, da garantirsi con la doppia preferenza e la rappresentanza delle formazioni politiche minoritarie o di coalizioni identitarie specifiche sarde, che si collochino all’esterno dei due poli italiani di CD e CS.
Mercoledì 28 le donne tornano in Consiglio, ma il dibattito viene rinviato sine die. Segue un incontro delle donne con i capigruppo, alcune consigliere e la Presidente del Consiglio. E’ palese la confusione e il disorientamento all’interno dei partiti politici italiani (PD e PdL) che tentano di blindare il Consiglio innalzando le quote di sbarramento ed eliminando la rappresentanza di genere femminile e le formazioni politiche minoritarie assai presenti in Sardegna. La mancata lungimiranza fra tutti i 79 consiglieri su 80 (esclusa la sottoscritta), che hanno proposto e votato per la riduzione da 80 a 60 dei consiglieri per il Parlamento sardo, ha creato un forte disorientamento per l’effetto boomerang di quel “taglio alla democrazia”, con il palese rischio di ingovernabilità.
Con questo Disegno di Legge la Sardegna rischia di perdere un’occasione per dotarsi di uno strumento elettorale efficace, democratico e adeguato alle nuove esigenze sociali di rappresentanza e partecipazione di tutta la società sarda. Paradossalmente può essere uno strumento di omologazione ai diktat italiani e di perdita della nostra specificità politica e culturale. E’ una Legge fondata sull’esclusione e sulla discriminazione, attraverso l’innalzamento della soglia di sbarramento al 4-5% per le liste fuori dalle coalizioni e addirittura del 10% per le coalizioni. Con ciò i legislatori sardi, introducono e impongono in modo maldestro alla realtà sarda, il bipolarismo italiano che mal si coniuga con le specificità sarde. Queste percentuali sono talmente alte da penalizzare volutamente tutte le formazioni c.d. minoritarie che sono alla base di una democrazia partecipata e rappresentano le volontà e le identità dei cittadini e dei singoli territori della Sardegna. Questo è un affronto alla democrazia e rappresenta l’arroganza di chi, all’interno dei grandi schieramenti non vuole “scomodi testimoni dei loro inciucci politici e partitici” di cui oggi la Sardegna ne paga i costi.
E’ compito di una classe politica, rispettosa del Popolo che rappresenta e della sua volontà, interpretare la democrazia, e quindi le leggi, come lo strumento prioritario di partecipazione popolare alla gestione trasparente del “bene pubblico”: visto come “bene collettivo” e non privato. Per cui questa Legge elettorale dovrebbe essere, per i sardi, lo strumento che regola la più ampia partecipazione alla gestione del “bene pubblico” garantendone rappresentatività e trasparenza degli atti amministrativi. Purtroppo devo rilevare che questa proposta di Legge indecente, è animata da una volontà di esclusione della partecipazione popolare, creando oligarchie e accentramento dei poteri, e come ho già ribadito, “elimina violentemente” le minoranze che potrebbero essere i “testimoni scomodi degli inciucci perpetuati ai danni dei cittadini” dai poteri politici come spesso è avvenuto anche in questa sede.
Se la situazione della società sarda è così drammatica e devastata dalla crisi economica in corso, è anche vero che ciò è stato possibile grazie a “logiche di scambio dell’inciuccio“ fra maggioranza e minoranza dove hanno prevalso gli interessi dei singoli partiti su quelli collettivi, anche in questa sede istituzionale. Ribadisco che questa logica di esclusione dei cittadini e di limitazione della democrazia è stata già attuata anche in questa sede, con la riduzione del numero dei consiglieri da 80 a 60, con l’alibi cinico e strumentale, della riduzione dei costi della politica: una logica tesa a eliminare le minoranze politiche, soprattutto quelle identiarie, ma a penalizzare ancora di più la rappresentanza di genere femminile, che benché nella società sarda sia la maggioranza, viene esclusa con lo stesso disprezzo e fastidio che questa classe politica ha per le minoranze e quindi per la democrazia.
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