Tracce d’intervento sul piano sanitario regionale
Consiglio Comunale del 22/03/07
PIANO SANITARIO REGIONALE
Il Piano Sanitario Regionale, atteso dai sardi da circa 26 anni, finalmente si concretizza grazie alla politica dell’attuale amministrazione Regionale attenta alle priorità dei bisogni della gente.
In questo lunghissimo arco di tempo, abbiamo assistito allo sgretolamento progressivo di tutto il sistema sanitario sardo, con gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini e con un incontrollato sperpero di danaro pubblico, perpetuato dalle amministrazioni regionali di diversi colori e orientamenti che si sono succedute negli anni.
L’assistenza sanitaria è diritto naturale inalienabile di tutti i cittadini. E’ un servizio primario…
…[div align=”justify”] per la sopravvivenza delle persone e come tale dev’essere gestito dal pubblico.
Il primo parametro che definisce il grado di civiltà di un popolo è la qualità dell’assistenza sanitaria. Troppo spesso ho sentito parlare di bilanci economici attivi e passivi in sanità.
In un sistema sociale evoluto, è la salute della gente che dev’essere in attivo, e non necessariamente i bilanci economici degli Enti, che devono invece fornire servizi di qualità soprattutto a quell’ampia fascia della popolazione che di fatto non ne può usufruire. La sanità pubblica non può essere un business e l’unica ricchezza che può produrre è la salute della gente. Tuttavia nell’interesse della collettività è necessario razionalizzare il servizio per migliorane la qualità e ridurre gli sperperi.
Il nuovo Piano Sanitario Regionale come tutti i grandi progetti, presenta luci e ombre.
Al di là della speculazioni politiche, il Piano richiede una “naturale” rivisitazione basata su criteri che promuovano e tutelino la salute dei cittadini secondo principi di solidarietà, di universalità e di equità, tenendo conto anche della residenza dei medesimi. Un ruolo importante, in questo progetto deve essere riservato ai Comuni. Come metodo di collaborazione gli amministratori dei Comuni devono essere parte attiva nella redazione della “programmazione attuativa degli specifici obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi”.
L’Ente locale e in questo caso il Comune dev’essere messo in condizione di contribuire fattivamente agli indirizzi per la nuova programmazione sanitaria locale, e di essere consultato e coinvolto in modo da determinare le specificità legate al territorio. Condivido il nuovo P.S.R. e lo interpreto come un grande progetto aperto a correzioni, ad arricchimenti e a perfezionamenti, e come tale è aperto al contributo della gente e di tutte le istituzioni che devono interagire per il bene della collettività sarda.
Il mio punto di vista sui limiti del P.S.R. :
– Il criterio della riduzione dei posti letto. E’ giusta la razionalizzazione con l’eliminazione dei doppioni inutili, ma tale riduzione non può passare attraverso “criteri ragionieristici”. Cagliari ad esempio, per numerose patologie è il punto di riferimento di cittadini che provengono da tutta la Sardegna. Come calcolare il numero dei posti letto?
Salta ed è deficitario il criterio di analisi adottato, e cioè quello che si basa sul principio della concentrazione demografica.
– I piccoli ospedali diffusi nel territorio (come ad esempio quello di Muravera)a prescindere dalla concentrazione demografica, vanno potenziati soprattutto per alcune branche della specialistica, dall’ostetricia, alla chirurgia, alla cardiologia.
Ciò significa che il P.S.R. richiede anche un attento studio e una compenetrazione delle esigenze del territorio e delle relative popolazioni. In caso di emergenza, ci siamo chiesti in quanto tempo dal punto X è possibile raggiungere il grosso centro cagliaritano?
Sono contraria alla politica dello spopolamento del territorio e trovo che la scelta di chiusura dei piccoli ospedali la favorisca.
– Trovo carente lo studio delle grandi patologie cui noi sardi siamo maggiormente esposti: da quelle cardiovascolari alle vasculopatie cerebrali,al diabete mellito, alla sclerosi multipla, alle patologie legate all’inquinamento ambientale (tra industrie e poligoni militari che sotto forma di occupazione coloniale usano il territorio sardo, producendo malattie letali).
– Forse per deformazione professionale (in quanto come medico opero nel territorio) noto che nella stesura del piano manca o è carente il contributo e il coinvolgimento dei medici di famiglia, che come molti di voi sanno, sono i principali depositari della salute della gente all’esterno degli ospedali.
– E’ da considerarsi urgente un intervento sui servizi essenziali come ad esempio quello della prevenzione, che è ridotto ai minimi termini.
Sono servizi che vanno potenziati con l’assunzione di medici dipendenti e non più di medici con contratti di consulenza. Operazione che contribuirebbe a consolidare l’occupazione e ad aumentare la qualità del servizio.
– All’ Ospedale Brotzu è a rischio di chiusura il Centro per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, che andrebbe inglobato in un generico, confuso e inefficace “Polo della Neuropsichiatria”.
Si tratta dell’unico Centro dimensionato per l’Autismo. E’ l’unico che adotti un metodo sperimentato efficace e con professionisti validi. Abbiamo 30 bambini in lista d’attesa anche da circa un anno, paradossalmente con la necessità che gli interventi terapeutici avvengano il più precocemente possibile.
Questo Centro non può essere snaturato anzi va rafforzato d’urgenza incrementando le attuali n° 3 figure (una logopedista e due terapiste) che seguono il metodo cognitivo comportamentale e uno stuolo di psicologi, di cui alcuni assunti a contratto e altri semplici tirocinanti. Non si richiedono attrezzature ma solo risorse umane.
Il P.S.R. deve preoccuparsi inoltre dell’affidamento dei bimbi in dimissione. Stabilire a chi affidarli e come affidarli per la prosecuzione della terapia.
– Non è stato contemplato un Centro per le malattie degli animali e il loro benessere. La Sardegna vanta ancora oggi, e meno male, un’economia pastorale, sulla quale la RAS investe notevoli somme. Vedi la stessa prevenzione della “blue tongue” degli ovini e altre patologie.
Sulla chiusura di alcuni ospedali:
Sul S. Giovanni di Dio: le strutture fatiscenti e difficilmente recuperabili alle nuove normative che presiedono la sanità, per cui il totale recupero urbanistico alla sua destinazione originale, sarebbe molto oneroso e comunque sempre inadeguato. Potrebbe essere in parte recuperato e in parte destinato ad altra funzione sociale come ad esempio: un Centro di aggregazione Studentesca.
L’ Ospedale Marino, che non solo non è nato come Struttura Ospedaliera, ma a mio avviso, come centro ortopedico, ha subito delle grosse trasformazioni perdendo in parte la sua specificità, per cui potrebbe essere dismesso.
Sostengo il potenziamento dell’ OSPEDALE ONCOLOGICO BUSINCO perché senza questo, centro di eccellenza, sarebbe impossibile organizzare la prevenzione primaria e secondaria nel territorio per il controllo dell’incidenza delle neoplasie.
L’Ospedale Binaghi per la sua specificità come centro pneumologico altamente qualificato, non solo è un punto di riferimento per tutta la Sardegna, ma spesso ricovera pazienti provenienti da altri ospedali della stessa città. Esso non è sostituibile in nessun altro contesto, senza che la sua specificità e tradizione medica venga persa con la dispersione di figure professionali altamente qualificate.
Questo spazio, nella sua parte di parco verde, rappresenta un raro polmone per tutta la città e come tale va potenziato al più presto con l’acquisizione delle aree militari e con l’ulteriore acquisizione di eventuali spazi comunali siti in prossimità.
Nel suo interno lo stesso Centro Sclerosi Multipla va salvaguardato e potenziato. E’ un servizio di cui purtroppo la città e non solo essa può privarsi.
– L’Ospedale SS. TRINITA’ sul cui complesso sono stati fatti investimenti di ristrutturazione, e per la sua posizione geografica a ridosso di una popolatissima zona urbana di Cagliari e per la sua facilità di accesso, non è ammissibile che venga liquidato in questo modo.
Sulla destinazione d’uso delle strutture dimesse:
Fermo restando che nessuna area ospedaliera dismessa dev’essere votata ad un destino di “cementificazione”, in armonia con la necessità di tutelare ed eventualmente ampliare le aree verdi della nostra città, credo che un percorso intelligente e rispettoso delle esigenze della collettività sarebbe quello ad esempio di destinare una di queste aree alla creazione di un “Centro donna”, come riferimento specialistico per tutte le problematiche femminili. Un Centro inteso come percorso sanitario per le donne dall’adolescenza alla menopausa, sede di informazione, di prevenzione e di assistenza.
Claudia Zuncheddu
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