Unu moru presidenti. Mai prus “white only”
Po chini est impressiu, mi deppu scusai e naru subito ca custu est unu contu personali cun d’unu arrejonamentu a pitzus. Essi sardista oli nai essi internazionalista e castiai su mundu cun “ogu socialista”.
Circa vent’anni fa mi trovavo nella Repubblica Democratica del Congo. Mentre mi spostavo con un piccolo aereo da Kinshasa verso Goma nella regione dei Grandi Laghi (in questo periodo tristemente alla ribalta delle cronache di guerra) un potente uomo politico africano, impegnato in una “entusiasmante cerimonia di autocelebrazione”, invitava fiumi di champagne a tutti i passeggeri. Eravamo una decina, tutti a bere lo champagne.
Mentre Osservavo lo scenario, riflettevo su quanto la classe politica africana, di “scuola coloniale-europea”, fosse infantile e avesse acquisito il peggio dei bianchi arrivando persino all’esaltazione di un’eredità imbecille.
Intanto leggevo un libro su Patrice Emery Lumumba (“primo ministro” congolese dopo l’indipendenza) assassinato in modo atroce dall’agente dell’Intelligence americano Lawrence Devlin, da un militare belga e dal colonnello dei servizi segreti Louis Marlière. Chiaramente il mandante era Allen Dulles, capo della Cia. Fu lui a ordinare che il suo corpo venisse macellato a colpi di “machette” e sciolto in un barile pieno di acido ricavato dalle batterie delle automobili, per non lasciare tracce. Stessa sorte fu riservata a due compagni di Lumumba.
L’operazione era stata orchestrata dal presidente degli USA Eisenhower e dalla monarchia belga che consideravano Lumumba un “pericolo per il Congo e per il mondo” perché avrebbe permesso ai comunisti di installarsi nella regione dei Grandi Laghi, invertendo i rapporti di forza tra USA e
l’allora Unione Sovietica.
Lumumba fu condannato a morte dalla diplomazia occidentale per avere la colpa (oltre che di aver chiesto aiuto a Nikita Kruscev, per una situazione incontrollabile venuta a crearsi nella regione del Katanga) di essere prima di tutto un leader nazionalista ed un indipendentista che teneva a cuore le sorti del popolo congolese.
I subbugli politici, come facilmente intuibile, venivano di fatto alimentati dalla monarchia belga, e da multinazionali con grandi interessi economici sulle ricchissime risorse naturali, tutto ciò per dimostrare che il Congo non era maturo per il processo di decolonizzazione.
La storia è lunga e tornando al fiume di champagne attraverso il quale l’uomo africano ostentava il suo potere certamente di “mediazione” in un contesto neocoloniale… la mia attenzione si soffermò su una frase di Lumumba: “…di bianco mi piace solo il latte”.
Barack Obama presidente, non è solo una vittoria anti-Bush, espressione globalizzata del dominio basato sulla guerra, ma è il grande sogno della maggioranza dei popoli del mondo: il diritto a decidere per se stessi, liberamente e in maniera autonoma da ogni condizionamento delle proprie risorse culturali e ambientali, del proprio governo e della propria felicità, rifiutando la logica del dominio del denaro.
Auguriamoci che il moto “change”- “su cambiamentu” oltre la campagna elettorale diventi realtà negli Stati Uniti e in tutti i continenti.
Lui può essere il simbolo della “riappacificazione dell’umanità”. A lui ora dare il buon esempio.
Mai più “white only” che lessi su una panchina a Città del Capo, durante l’”apartheid”.
Vida longa a Obama presidenti.
Claudia Zuncheddu
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