Una stagione di sovranità per costruire l’indipendenza
da LA NUOVA SARDEGNA del 21.09.2010
CLAUDIA ZUNCHEDDU* Si rileva oggi che il dibattito sull’ Indipendenza della Sardegna, i metodi democratici per il suo raggiungimento e le conseguenti “ricadute” sul sistema istituzionale (la riforma istituzionale della RAS, i nuovi rapporti federali fra l’Italia e la Sardegna e la riscrittura dei patti), è un segnale eccellente, se non persistesse il pericolo di “cambiare tutto per non cambiare niente”. La crisi economica, sociale e occupazionale, la svendita del patrimonio ambientale, dalle coste alle energie rinnovabili, al paesaggio, le servitù militari, le nuove servitù nucleari, chiamano in causa le responsabilità della Regione autonoma e la sua subalternità, mai forte come oggi ai voleri italiani. Il fallimento dei 60 anni di autonomia, che avrebbe dovuto togliere la Sardegna dal “sottosviluppo”, pone la necessità d’interrompere il “vecchio dominio della politica”. L’autonomia è stato un feroce processo di colonizzazione che ha usato i flussi di danaro pubblico, destinati allo sviluppo dell’isola, per arricchire una nuova borghesia compradora che ha le proprie radici all’interno delle stesse istituzioni regionali, creando privilegi per minoranze e negando i diritti alla maggioranza dei sardi ad esistere come popolo e nazione. L’autonomia è stata gestita da tutta la classe politica sarda, con tempi, modi e responsabilità differenti, perpetuando la sudditanza all’Italia e alle multinazionali della globalizzazione. Qualcuno, difendendo i propri privilegi e nascondendo le responsabilità, confonde la differenza fra “separatismo” e “indipendentismo”, ignorando che alla base dell’Indipendentismo moderno, sta il pensiero di Simon Mossa: “…Noi vogliamo conquistare l’Indipendenza per integrarci, non per separarci, nel mondo moderno”.
Non si può ingannare la memoria offuscando i fondamenti storici, giuridici, culturali-identitari, etnici e linguistici, che sono alla base del diritto del popolo sardo ad essere riconosciuto nazione, condividendo il diritto dei popoli all’autodeterminazione e al percorso di indipendenza: concetti sanciti dalle Nazioni Unite e dalla Comunità europea. Ingannando la memoria, si sceglie di essere “truppe coloniali”. Parlare di sovranità in modo strumentale e demagogico, è utile solo a ridare verginità a forze politiche ormai screditate e lontane dagli interessi dei sardi.C’è il rischio di svilire il dibattito sull’opportunità di riscatto e di emancipazione dei sardi. Il difficile “rimpasto politico” della giunta Cappellacci, sarà inevitabilmente asservito al “governo amico italiano” e benedetto dalla borghesia compradora. E’ ora che si rompa la dipendenza, per creare sui singoli fatti, momenti di indipendenza reale. L’esperienza catalana merita una riflessione attenta. La sovranità, possibile oggi, pone in discussione il rapporto fra RAS e Stato italiano. La restituzione dei soldi della “rapina” sulle entrate fiscali dei sardi ci aiuterebbe a uscire dal sottosviluppo e la creazione dell’Ufficio sardo delle entrate è indispensabile per questo processo. Non ci può essere sovranità senza il controllo dell’energia e dei trasporti. Il caso Tirrenia è un’opportunità per creare la “flotta sarda” pubblico-privata, per garantire sviluppo autonomo e affrontare l’“insularità”. Il controllo delle risorse energetiche non può essere lasciato in mano al “libero mercato” spesso gestito da multinazionali colluse con criminali. Lo statuto, figlio di quegli anni e mai applicato a tutela dei sardi, va riscritto. Il dibattito su statuto e riforme, deve andare oltre la routine di un Consiglio regionale distratto, strabico e inadeguato. E’ indispensabile che all’interno del popolo sardo si apra un dibattito partecipato, per arrivare a condivisioni con metodi nuovi, affinché le conclusioni giuridiche e statutarie non prescindano dal riconoscimento di un nuovo soggetto giuridico: la nazione sarda. Questo “status” non può essere legato solo alle “concessioni” (ridiscussione dei rapporti tra RAS e Italia) ma deve mettersi in relazione e trovare soluzioni in nuove forme con la Comunità europea. Senza la partecipazione e condivisione popolare su questi temi, non è possibile l’apertura di una nuova stagione di sovranità e di costruzione dell’indipendenza. C’è il rischio che si ripetano le considerazioni di Lussu del ’48, sul dibattito per la scrittura dello statuto di autonomia: “doveva essere il ruggito di un leone… è stato il miagolio di un gatto”. *Consigliere regionale dei Rossomori
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