L’addio a Carola, il Gaudì africano delle cupole di terra
articolo di Claudia Zuncheddu pubblicato su Il Manifesto Sardo il 3-1-2019
A Fabrizio Carola, che si innamorò della Sardegna e che non lasciò mai l’Africa, buon viaggio tra i baobab da Bamako a Bandiagara e tra le volte e le cupole delle sue opere ispirate all’armonia e alla spiritualità del genere umano.
E’ deceduto Fabrizio Carola, il genio candidato all’immortalità di Gaudì. La notizia mi giunge nel cuore della notte non dalla Campania ma dal Sub-Sahara che in quasi mezzo secolo ha consentito all’architetto napoletano di esprimere senza condizionamenti la sua straordinaria creatività. Fuggito dalla burocrazia e dalla mediocrità dei sistemi occidentali, lascia tra il Mali e la Mauritania la grandiosità delle sue opere, dal Mercato delle erbe di Bamako dove si respira un’atmosfera che si perde nei secoli, al Centro di Medicina Tradizionale di Bandiagara (Centro studi internazionale), al Kaedi Regional Hospital in Mauritania, all’ospedale di Mopti dedicato alle spose-bambine spesso abbandonate e con gravi lesioni provocate da gravidanza e parto.
Carola è un personaggio eclettico, architetto e filosofo, che mette al centro della sua opera l’essere umano con i suoi bisogni, la sua salute, la sua cultura, il suo ambiente. Costruisce in mattoni di terra, tra le linee morbide degli archi e delle cupole, i luoghi dell’anima, dell’equilibrio e del benessere dove far vivere il genere umano.
Io non voglio produrre cose belle ma cose giuste, mi diceva. Ed era dal suo costruire giusto che nasce tanta bellezza. Incontrai Carola tanti anni fa in Mali nel corso di un’epidemia di meningite. Non sapevo che quell’uomo bianco con gli occhi cerulei che vaccinai insieme ad amici comuni, fosse l’autore di quelle opere che tanto ammiravo.
Nasce in Campania da tre generazioni di architetti da parte di madre e da diverse generazioni di ingegneri da parte di padre. Si formò nella Scuola Nazionale Superiore di Architettura di Bruxelles, fondata da Van de Velde, uno dei fondatori della Bau Haus. L’appartenenza ad una famiglia potente gli ha garantito il privilegio di poter esprimere la sua genialità senza ricatti economici, in modo libero, senza freni e a limite della follia.
Fabrizio si è sempre definito un privilegiato per caso e senza meriti personali per cui mettersi al servizio dell’umanità nel rispetto della natura era un dovere. Viveva con poco e con poco costruiva. Necessitava di una matita e di un foglio di carta a quadretti da appoggiare anche sulle ginocchia, di ciò che gli offriva la terra senza sacrificarla e del coinvolgimento di interi villaggi nei lavori.
Carola, per le sue strutture architettoniche adotta e modifica l’antico compasso nubiano che oggi rappresenta il superamento dei moderni ponteggi metallici. Divulga la sua genialità mettendola al servizio delle popolazioni africane, affinché chiunque possa imparare a costruirsi la propria casa senza consumare il territorio e “senza l’architetto”.
Alla chiusura dei suoi cantieri, prima che ogni traccia si dissolva nel nulla, la popolazione del villaggio che ha partecipato alla creazione delle strutture, recupera quanto resta della materia prima per creare oggettistica e utensili di uso domestico da vendere nei mercati interni.
La bioarchitettura di Fabrizio Carola non è solo la sintesi della funzionalità e della bellezza ma essa è anche uno straordinario motore dell’economia locale. L’architetto da quasi mezzo secolo ha saputo anticipare e interpretare la necessità di frenare un modello di sviluppo avido, che consuma le risorse del pianeta e snatura l’umanità.
Fabrizio amava l’Africa e l’Africa l’ha adottato, seppur costretto ad abbandonare negli ultimi tempi per l’incalzare del fondamentalismo islamico. Per la sua arte nell’uso del mattone, delle mani e del compasso nubiano a Carola è stato attribuito da una giuria internazionale il Premio Aga Kahn Award per l’architettura nei Paesi islamici, in Francia il Premio Globale per l’architettura sostenibile, a Tokio il Premio Vassili Sgoutas dall’Unione Internazionale di architettura per l’uso di materiali e strutture rispettose della cultura del luogo.
Sarà compito dell’Unesco prendersi cura delle sue opere architettoniche, degli studenti di tutte le università del mondo che hanno seguito la sua scuola, la conservazione e la trasmissione delle tecniche del bel costruire e degli amici ricordarlo per la sua genialità e per il suo essere stato un uomo giusto.
Commenti